Secondo un recente studio condotto da un team di ricerca inglese, “l’immunità” al coronavirus sembra perdersi circa tre mesi dopo aver contratto l’infezione. Le ripercussioni di una tale scoperta possono impattare anche sulla produzione del vaccino.
Avevamo già sentito di alcuni casi in cui i pazienti guariti dal Covid-19 erano risultati nuovamente positivi al virus dopo qualche tempo. È successo a una 84enne di Pozzuoli, così come anche a una donna veronese, ma se ne era parlato anche per una donna cinese, quando eravamo ancora agli esordi della pandemia in Italia. E infatti, i casi di una seconda infezione da coronavirus sono in realtà segnalati già da diverso tempo in tutto il mondo.
Oggi però arrivano i risultati ottenuti dalla ricerca effettuata dal team del King’s College di Londra, che ha riscontrato forti cali nei livelli anticorpali dei pazienti. Ma allora, ci si può riammalare di Covid-19? La riposta potrebbe essere positiva, anche se al momento non è possibile confermarlo con assoluta certezza. Come viene riportato da Il Corriere, però, quanto riscontrato dagli studi mostra che la potenza immunitaria all’infezione possa diminuire con il tempo.
Lo studio condotto dal King’s College di Londra ha infatti analizzato 90 ex pazienti malati di Covid, e ha rilevato che il livello di anticorpi raggiunge il suo picco dopo circa tre settimane dalla comparsa dei primi sintomi. Dopo questo periodo, però, i livelli di anticorpi tendono a diminuire gradualmente, fino a non essere neppure più rilevabili in alcuni casi. Così, dopo circa 3 mesi dall’infezione, è solo il 17% dei pazienti che ha contratto il virus a mantenere la stessa potenza di risposta immunitaria.
Vaccino: una soluzione temporanea?
Sebbene lo studio del team di Londra debba essere ancora sottoposto a revisione paritaria, a dare sostegno al lavoro è però una ricerca pubblicata da poco su Nature, che conferma purtroppo la stessa analisi del gruppo di ricercatori inglesi. Al momento, rimane comunque difficile trarre delle conclusioni dai dati segnalati da entrambe le ricerche: servono infatti ulteriori test clinici per avvalorare una qualsiasi tesi in merito. Ciò che i team di ricerca sostengono, però, è che il virus potrebbe tornare a infettare di nuovo le persone che lo hanno già contratto in precedenza, allo stesso comodo in cui già accade nelle influenze più comuni. Il che si ripercuote anche sulla produzione di un eventuale vaccino, che in tal senso potrebbe un’efficacia soltanto temporanea.
“Se l’infezione genera livelli di anticorpi così limitati nel tempo, anche la copertura di un futuro vaccino teoricamente avrà una durata limitata e una dose potrebbe non essere sufficiente”, ha infatti spiegato la dottoressa Katie Doores, responsabile dello studio inglese. “Una cosa che sappiamo di questi coronavirus è che le persone possono essere reinfettate abbastanza spesso, l’immunità quindi non dura molto a lungo e dai primi studi sembra che Sars Cov-2 possa rientrare in questa categoria” ha poi ribadito il professor Stuart Neil, coautore dello studio.
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“Dobbiamo sperare che il vaccino agisca sulle cellule di memoria, mantenendo una risposta immunitaria permanente così da non doverlo rifare nel tempo. Gli anticorpi possono anche scomparire ma se il nostro sistema immunitario memorizza il virus, quando ne viene a contatto riproduce le difese”, spiega invece Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici italiana.
E infatti, come spiega anche il professor Alberto Mantovani, gli anticorpi sono solo una manifestazione della risposta immunitaria, perché il cuore della risposta adattativa risiede nelle cellule T (i linfociti T), parte essenziale del sistema immunitario. Basti pensare, del resto, che le persone che hanno già sviluppato “l’immunità delle cellule T“, sono circa il doppio rispetto a quelle a cui è possibile rilevare gli anticorpi del Covid-19.