“Greco non era mafioso”, la sentenza dopo il suicidio dell’imprenditore

L’imprenditore galese Rocco Greco, per tutti Riccardo, non saprà mai che la sua società è stata riscattata e che alla fine aveva ragione lui “Non c’entrava niente con la mafia”. 

L’imprenditore era il leader dei commercianti antiracket e si ammazzò il 27 febbraio del 2019 dopo aver ricevuto l’interdittiva. «Non c’entra con la mafia», ha stabilito il Tar del Lazio oggi dopo aver riabilitato la Cosiam srl, la società edile di Gela guidata ora dai figli di Greco. Ma la segnalazione nei suoi confronti era partita dai clan come vendetta per una sua denuncia. Il figlio: «Dovevano pensarci prima». E’ stato un errore amministrativo riconosciuto troppo tardi da un pezzo dello Stato contro un altro. Le accuse nei suoi confronti sono state smontate dall’avvocato Alfredo Galasso, ex componente del consiglio superiore della magistratura, che dedica un capitolo a Rocco Greco dal titolo: La mafia che ho conosciuto, in libreria la prossima settimana.  La compagna di Greco con i suoi tre figli, Francesco, 28 anni, ingegnere, Paola e Andrea, di 26 e 20 anni, è riuscita a riassumere tutti i 50 dipendenti e a conquistare venti nuovi appalti. Si riprende in mano tutto ma forse se Greco avesse saputo che la verità sarebbe venuta fuori presto, non si sarebbe sparato in uno dei magazzini dell’azienda, preso dalla disperazione.

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Greco: la denuncia e poi le accuse

Il calvario per l’imprenditore è arrivato quando ha scelto di denunciare Cosa Nostra e la Stidda, che gli imponevano il pizzo, venendo a sua volta infangato dai criminali. Nel 2006 Greco aveva denunciato danneggiamenti e i tentativi di estorsione a cui era spesso sottoposto, facendo arrestare ben 11 criminali. I boss hanno cercato quindi di farlo passare dalla loro parte davanti alla giustizia. Il giudice riconobbe al tempo la sua innocenza, ma la prefettura fece scattare una misura interdittiva nei confronti della sua azienda. L’imprenditore non ce l’ha fatta a reggere il peso di questa situazione e si è ucciso. Le sue denunce, però, sono state presentate dai figli al Tar del Lazio e giustizia oggi è stata fatta. I giudici hanno accolto il ricorso presentato dai figli di Greco e hanno spiegato che quel provvedimento non andava emesso, perché privo della necessaria verifica sul «quadro indiziario relativo alla attualità del rischio di infiltrazione mafiosa». “Non si vede – scrive il tribunale amministrativo – come altro possa reagire una impresa che non intenda farsi condizionare, se non denunciando i danneggiamenti e le richieste estorsive, presumibilmente provenienti da chi intenda assoggettarla a condizionamento. Se è comprensibile che la vittima silente di pressioni e condizionamenti mafiosi possa ritenersi meritevole di interdittiva, posizione diversa riveste quell’imprenditore che si ribella, denuncia e chiede l’intervento repressivo dello Stato”. Oggi giustizia è stata fatta ma per Greco è arrivata troppo tardi.

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