Coronavirus, in ginocchio i big dell’economia: da Pizza Hut a Zara

A quanto pare gli effetti economici del coronavirus non si faranno sentire solo in piccole e medie imprese. Ad essere pesantemente colpiti sono anche i big dell’economia, tra cui Pizza Hut e il Cirque du Soleil. 

Gli effetti economici dell’emergenza coronavirus si dispiegano con sempre maggiore nettezza, e pesantezza. Ormai risulta chiaro che a essere messe in ginocchio dal virus non saranno solo piccole e medie imprese, ma anche i big dell’economia, le grandi catene che potevano sembrare, di primo acchitto, fuori pericolo. Tra i grandi dell’economia colpiti irrimediabilmente dall’emergenza spiccano Pizza Hut, Aeromexico e il Cique du Soleil. Tutti e tre hanno infatti presentato richiesta per il Chapter 11: si tratta di una norma statunitense che potrebbe, più meno, corrispondere alla nostrana amministrazione controllata. Si tratta di una corsia emergenziale un tempo presente anche nella legislazione italiana, poi sparita, e ora reintrodotta nel decreto Sviluppo. In crisi anche il settore dell’abbigliamento, in cui diverse sono le catene non in grado di rimettere in sesto i conti, da Zara a H&M, fino a Wigan. Poi la ristorazione, in cui a essere travolta dal coronavirus è anche la catena di ristoranti Wendy’s che, insieme a Pizza Hut, fa parte della Npc International. Le due catene, insieme, offrono lavoro a più di 40mila persone, un peso che non ha retto a una drastica riduzione dei consumi e a lockdown intermittenti. L’emergenza, infatti, avrebbe creato un vortice di circa un miliardo di debito, con 900 milioni appartenenti alla sola Pizza Hut. Per evitare la definitiva chiusura del fast food è stato sottoscritto un accordo con i creditori: si eviterà la chiusura solo grazie a una cessione ad altri gestori.

LEGGI ANCHE -> Grave lutto per Luca Dotto: muore Guglielmina Cosma, madre del campione azzurro

LEGGI ANCHE -> Scoperta “chat dell’orrore”, tra suicidi e pedofilia: denunciati 20 minorenni

Così, con il fallimento di Pizza Hut, si chiude il sipario su una storia cominciata con poco, nel ’58, una vicenda da sogno americano, quando ancora non era una chimera. I due fratelli Carney, Dan e Frank, si fecero prestare dalla madre 600 dollari. L’idea alla base del progetto era reinvestire quei soldi per una piccola rivendita a Wichita, in Kansas, per offrire agli studenti un prodotto tanto semplice quanto apprezzato: la pizza. Da lì, il successo fu travolgente: vent’anni dopo i due avevano messo su circa 4mila ristoranti. Poi il brand ottenne una nuova proprietà, la Yum, legata al gruppo Npc International. Ormai la catena era conosciutissima, il suo successo alle stelle, e riuscì ad avvalersi anche di importanti testimonial, da Ringo Star all’ex moglie di Donald Trump, Ivana. La sperimentazione non si fermò, la catena continuò a lanciare idee rischiose ma vincenti, compresa la connessione diretta con le console di giocatori di videogame che consentiva di prenotare della pizza continuando a giocare. Questa serie di successi, però, non è bastata per frenare il tracollo dovuto a qualche mese di stop, e un’altra vetta del sogno americano crolla con la stessa velocità con cui era nata.