Coronavirus, “massima prudenza”: vietato l’ingresso da 13 paesi a rischio

Passengers wear face masks as they wait at immigration at Kuala Lumpur Low Cost Terminal in Sepang, Malaysia, Wednesday, Jan. 29, 2020. Malaysia has tightened control at its borders and banned travelers from China's Hubei province as virus cases in the country rose to 7. (AP Photo/Vincent Thian)
Bloccato l’arrivo, diretto ed indiretto, in Italia da 13 paesi dove il virus è ancora nella fase di picco. Il rischio è la ripresa del virus in Italia.
Armenia, Bahrein, Bangladesh, Brasile, Bosnia Erzegovina, Cile, Kuwait, Macedonia del Nord, Moldova, Oman, Panama, Perù, Repubblica Dominicana. Sono questi i 13 paesi da cui è vietato l’ingresso in Italia: per chi arriva o per chi vi ha transitato negli ultimi 14 giorni. Vietati anche i voli diretti e indiretti, in arrivo e in partenza. L’Italia ha deciso di chiudere i confini ai viaggiatori in arrivo dalle zone più a rischio, dove l’epidemia di Coronavirus è ancora nella sua fase di picco con migliaia di contagi e morti. E’ la linea di «massima prudenza» decisa dal ministro della Salute Roberto Speranza che, in accordo con i ministri degli Esteri, dell’Interno e dei Trasporti, ha firmato l’ordinanza che prevede i divieti fino al 14 luglio. «Nel mondo la pandemia è nella sua fase più acuta. Non possiamo vanificare i sacrifici fatti dagli italiani in questi mesi», spiega il ministro Speranza. La decisione arriva dopo l’intervento di martedì, con il blocco di tutti i voli diretti in arrivo da Dacca, capitale del Bangladesh: l’esplosione di nuovi focolai nel Lazio a causa di cittadini rientrati dal Paese asiatico ancora in piena emergenza ha evidenziato l’elevato rischio a cui si andava incontro. Nonostante quella decisione si è comunque registrato a Roma e Milano l’arrivo di centinaia di bengalesi imbarcati su voli provenienti da altri Stati, al punto da costringere il governo italiano a bloccarli e rimpatriarli poche ore dopo. Nella giornata i mercoledì Speranza ha scritto al commissario Ue alla Salute Stella Kyriakides e al ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, per chiedere una linea comune sulle «misure cautelative» sottolineando l’urgenza di «una politica comune nella gestione dell’emergenza».
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Le frontiere esterne dell’Europa, ricordiamo, si sono riaperte lo scorso 1° luglio, ma non per tutti. Si poteva infatti arrivare nel nostro continente senza restrizioni soltanto proveniendo da 15 Paesi: Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova-Zelanda, Rwanda, Serbia, Corea del Sud, Thailandia, Tunisia e Uruguay, Cina ma solo con accordi di reciprocità. Per chi fosse in arrivo da tutti gli altri Paesi, l’accesso era consentito solo per motivi di lavoro, salute o necessità, con una quarantena obbligatoria di 14 giorni. Questo elenco viene comunque rivisto e aggiornato ogni due settimane in base ai livelli epidemiologici che devono essere simili a quelli europei registrati negli ultimi 14 giorni. In questo modo il 14 luglio si valuterà anche la situazione dei 13 Paesi «bloccati»: eventualmente sarà valutata una ulteriore proroga del divieto. Ma ogni Paese membro può decidere in autonomia sui propri confini: l’Italia ha deciso ad esempio di lasciare l’obbligo di quarantena di due settimane per tutti gli arrivi (esclusi i Paesi Ue). Nonostante questa precauzione è esploso il caso Bangladesh. «Chiediamo responsabilità e attenzione degli altri Paesi» ha dichiarato il premier Giuseppe Conte che ha sottolineato la necessità di «prevedere delle cautele: non possiamo permetterci di subire nuove ondate del virus per disattenzione altrui». E il ministro Francesco Boccia ha assicurato che «continueremo a bloccare i voli per tutti i Paesi non in sicurezza, ma non daremo mai agli altri degli untori».