Arriva la relazione finale dei lavori della commissione d’inchiesta regionale, incaricata di scoprire cosa è andato storto all’interno del Pio Albergo Trivulzio durante l’emergenza coronavirus. Il quadro che ne emerge è ricco di problematiche: mancanza di mascherine, alto tasso di assenteismo e pochi tamponi.
E’ finalmente giunta al termine la relazione finale dei lavori della commissione d’inchiesta regionale, incaricata di scoprire cosa è andato storto nel Pio Albergo Trivulzio, la casa di riposo di Milano nella quale si è verificato un altissimo tasso di mortalità nei mesi di marzo e aprile, in piena emergenza coronavirus. Quanto emerge dal documento rileva, in effetti, una lunga serie di mancanze all’interno della struttura: dall’assenza di protezioni all’assenteismo, fino a giungere a una certa inadeguatezza nell’applicazione delle procedure anti-Covid. Il documento è stato condiviso anche con la Procura di Milano che, dopo le denunce di parenti e comitati, aveva già attivato le indagini.
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Stando a quanto emerso, un primo problema ha riguardato sicuramente la carenza di scorte di mascherine. I dispositivi di protezione erano presenti a sufficienza, ma per la gestione di una situazione “ordinaria”. Di certo non per la gestione dell’emergenza coronavirus, la cui imponenza era stata più volte annunciata. Il carico supplementare di mascherine sarebbe arrivato solo il 23 marzo, troppo tardi. Poi l’altra criticità: l’assenteismo, riscontrabile già prima dell’emergenza. A conferma di questo, basta osservare i dati: oltre metà dei 900 operatori non era a lavoro. L’assenza era giustificata tramite malattie o permessi. La carenza di personale avrebbe reso “difficoltoso non solo il rispetto di regole e procedure ma gli stessi livelli di assistenza”. Il direttore generale Welfare di Regione Lombardia, Marco Trivelli, ha commentato i dati sull’assenteismo: “E’ un fenomeno grave” ed “è distonico rispetto a come in generale gran parte degli operatori sanitari ha agito”. Così l’assenza di operatori nel Pio Albergo Trivulzio sarebbe arrivata fino al 57 per cento con picchi del 65 per cento, forse anche per autotutelarsi vista l’assenza di protezioni. A questo, infatti, si aggiunge un altro fattore: i dipendenti della struttura non sono stati adeguatamente protetti dal rischio di esposizione al Covid. Oltre all’assenza di mascherine, è anche stata registrata un’effettuazione dei tamponi e test sierologici inferiore alla media di altre Rsa. Insomma, il giudizio è netto: nella struttura non c’è stata “una piena e adeguata applicazione di regole e procedure”.