A nulla sono servite le sfuriate del sindaco Beppe Sala e le multe dei vigili, con il passare delle ore il distanziamento diventa un lontano ricordo. I gestori: «Purtroppo anche il tasso alcolico fa la sua parte, guai a rimproverarli»
Sui Navigli e nelle zone più calde della movida milanese, i mesi dell’isolamento e della paura sembrano essere un lontano ricordo. Tre, quattro, cinque. Poi sette o dieci: giovani, ma non solo loro, spesso seduti fianco a fianco su muretti e marciapiedi. Il Covid sembra appartenere a un altro mondo. Un mondo molto diverso rispetto a quello della giornata scandita dagli orari lavorativi. Dal rito dell’aperitivo in poi si tendono a trascurare le regole di sicurezza in favore del relax. Dopo le sfuriate del sindaco Giuseppe Sala, la Milano nottambula trascura le regole elementari ripetute mille volte, complice l’atmosfera da quasi-vacanza.
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La maggior parte dei titolari di cocktail bar, chiedendo l’anonimato, concorda su un punto, dal Sempione ai Navigli: «La situazione degenera dopo la mezzanotte, quando purtroppo anche il tasso alcolico fa la sua parte; guai a dire a qualcuno di indossare la mascherina, se non ai clienti». La zona pedonale alla fine di Corso Sempione, la prima tappa della movida, la più amata dai giovani. Intorno all’Arco della Pace, ore 19, l’aperitivo è in pieno svolgimento con il plus del sabato sera. A quest’ora l’uso della mascherina è ancora abbastanza diffuso, la maggior parte delle persone scelgono l’aperitivo al tavolo. Con il passare delle ore le cose cambiano: intorno all’una davanti all’Arco si raccolgono decine di gruppi che sembrano uno solo, la mascherina è una rarità, c’è persino un’improvvisata silent disco, con almeno cinquanta persone che ballano con la cuffia. I cocktail si consumano fianco a fianco, seduti sulle gradinate che circondano la piazza.
Ore 21, fra corso Garibaldi e largo La Foppa: le mascherine iniziano ad essere una minoranza: davanti ad alcuni dei locali più popolari di quest’angolo di movida centralissimo non ci sono gruppetti ma un assembramento unico; distanziamento, una chimera. A due passi da piazza Gae Aulenti e dai suoi grattacieli la situazione non è molto diversa: «Noi e i colleghi di corso Como — afferma Milena Fracchioni titolare del Caffè Novecento — non possiamo essere responsabili per una strada strapiena di gente. Le forze dell’ordine sono presenti nei primi giorni della settimana ma ce ne sarebbe più bisogno da venerdì in poi; d’altra parte il nostro raggio d’azione può essere solo quello davanti al locale».
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Via Lecco, mezzanotte e mezzo: la strada gay friendly più nota della città, a Porta Venezia, non è più una strada. Centinaia di persone la occupano e le poche macchine dei residenti devono aprirsi un varco a colpi di clacson. Nessun distanziamento e le mascherine sono sparite. Si capisce qualcosa di più osservando il viavai dalle macchinette automatiche che distribuiscono birra e la calca davanti ai negozietti aperti fino a tardi. Quindici giorni fa, tre pattuglie della Polizia hanno multato decine di persone proprio qui; ma l’effetto deterrente si è già dissolto. Più volte le auto dei vigili fendono la folla: ma non si fermano. Ripassano dopo una ventina di minuti con i lampeggianti accesi. Stesso copione: la gente si scosta e tutto riprende come prima.
Sui Navigli, alle ore 23.30, classicissimo fulcro della Milano by night: una ventina di locali, fra cocktail bar e ristoranti su Ripa di Porta Ticinese: una striscia umana per centinaia di metri che fa venire in mente un suk. I comportamenti imprudenti sono transgenerazionali anche se dalla mezzanotte in poi l’età media si abbassa vistosamente. Gestioni diverse anche per i tavoli: alcuni rispettano le distanze, in altri locali la densità avvicina i clienti fra loro. Dopo l’una c’è un ulteriore cambio, l’assembramento è ormai inevitabile. E la festa mobile diventa un azzardo.
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