La lunga storia d’amore di Ennio Morricone con la moglie Maria. Era legatissimo alla famiglia: i figli Giovanni, Marco, Alessandra, Andrea. “Ci siamo conosciuti a Roma nell’Anno Santo, il 1950. Lei è nata in Sicilia ma è venuta nella capitale a tre anni. Era amica di mia sorella Adriana. A me piacque subito moltissimo”
Come si fa a stare settant’anni con la stessa donna? Ora riesce più difficile. Morricone sorrideva e parlava del rapporto con sua moglie Maria con gli occhi di chi è ancora innamorato. Famiglia e musica, le grandi passioni mai sopite. “La domanda la deve fare a mia moglie – spiegava – è stata bravissima lei a sopportare me. Vivere con uno che fa il mio mestiere non è facile. Attenzione militare. Orari rigorosi. Giornate intere senza vedere nessuno. Sono un tipo duro, innanzitutto con me stesso e di conseguenza con chi mi sta attorno. Altrimenti i risultati non arrivano. Il successo viene certo dal talento ma più ancora dal lavoro, dall’esperienza e, ripeto, dalla fedeltà: alla propria arte come alla propria donna. Mi sono dato la regola di dare il meglio, sempre. Anche se non sempre ci si riesce”.
Era legatissimo, di conseguenza, alla famiglia: i figli Giovanni, Marco, Alessandra, Andrea. E con la moglie, il grande amore, il percorso fu complicato solo all’inizio. “Ci siamo conosciuti a Roma nell’Anno Santo, il 1950. Lei è nata in Sicilia ma è venuta nella capitale a tre anni. Era amica di mia sorella Adriana. A me piacque subito moltissimo. Ma a lei io piacevo meno. Poi Maria ebbe un incidente, con la macchina di suo papà. Un attimo di distrazione, e andò a sbattere”.
“La ingessarono dal collo alla vita, come si faceva allora. Soffriva moltissimo. Io le sono rimasto vicino. E così, giorno per giorno, goccia dopo goccia, l’ho fatta innamorare. Perché nell’amore come nell’arte la costanza è tutto. Non so se esistano il colpo di fulmine, o l’intuizione soprannaturale. So che esistono la tenuta, la coerenza, la serietà, la durata. E, certo, la fedeltà. Fatto sta che ci fidanzammo. E ci sposammo il 13 ottobre 1956”.
In moltissime canzoni italiane c’è un tocco insospettabile di Morricone. Le due “A” iniziali di “Abbronzatissima”, ad esempio. O la dissonanza nell’attacco al pianoforte di “Sapore di mare”. Compose anche musica contemporanea, tra cui un “Urlo” più straziante di quello di Munch. Un personaggio complesso, rimasto disponibile e con l’accento romano presente ma non troppo marcato.
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Con Pasolini la collaborazione fu problematica. “Mi chiede la colonna sonora di “Uccellacci e uccellini”. Dico no, e lui mi lascia carta bianca. Mi domanda però di inserire una citazione di Mozart, un brano del Flauto magico. Non capisco, ma accetto. Poi per “Teorema” mi commissiona musica dodecafonica, purché con una citazione del Requiem di Mozart. Quando ascolta il lavoro, obietta: “Ma non c’è il Requiem!”. “Ascolta con attenzione, c’è un clarinetto che ne accenna il motivo”. “Allora va bene”. Capii che era una questione scaramantica – spiegava – in ogni suo film doveva esserci qualche nota classica. Non a caso, in “Accattone” c’è un frammento di Bach”.
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