Un team di studiosi tenta di capire perchè il Covid-19 abbia colpito così duramente la Lombaridia. Ecco una sintesi della loro indagine.
Ma come è stato possibile tutto questo? Cosa ha fatto della Lombardia un terreno così fertile per la proliferazione del Coronavirus? Queste alcune delle domande a cui ha tentato di dare risposta uno studio congiunto dell’ospedale di Niguarda di Milano e del San Matteo di Pavia, finanziato dalla Fondazione Cariplo. A capo del team di ricercatori che hanno proposto l’analisi ci sono Carlo Federico Perno (dal Niguarda) e Fausto Baldanti (dal San Matteo).
Prima di concentrarsi sulle condizioni che hanno reso possibile una simile tragedia in Lombardia, gli studiosi hanno tentato di ricostruire una biografia del Covid-19 in Italia. E la prima domanda a cui rispondere in questo caso è: quando è davvero entrato in Italia il virus? Analizzando il sangue dei donatori Avis di Lodi, il team ha rintracciato la presenza degli anticorpi neutralizzanti in soggetti che avevano eseguito la donazione tra il 12 e il 17 febbraio. Tale risposta immunitaria si sviluppa solo dopo 3-4 settimane più tardi rispetto all’avvio dell’infezione. Ciò significa che i primi casi di Covid-19 in Lombardia sono databili alla seconda metà di gennaio.
Secondo step dell’indagine: decretare da dove sia arrivato il virus che ha colpito la Lombardia. La soluzione a questa incognita arriva dall’analisi del genoma di 350 pazienti. Attraverso il confronto dei genomi è possibile individuare le differenze tra i vari ceppi, nonché la cosiddetta “distanza genetica”, ossia la differenza tra il virus contratto dal soggetto e il ceppo iniziale. Da questo confronto è emerso che il virus lombardo è un pronipote del ceppo cinese, ma ha certamente subito variazioni da tipologie di virus europee. E’ plausibile che le variazioni arrivino dalla Germania, primo grande scalo d’Europa per i voli partiti dalla Cina.
Ma c’è dell’altro. I team degli ospedali lombardi hanno avanzato l’ipotesi che il ceppo giunto in italia abbia poi figliato ulteriormente, introducendo nuove variazioni. In questo modo sarebbero più d’una le tipologie di virus, tutte con le proprie caratteristiche, approdate in Lombardia. In particolare gli studiosi hanno individuato nella regione il ceppo A e il ceppo B, che a sua volta ne ha generati altri due. Per fare una sintesi: il 20 febbraio in Lombardia circolavano ben 4 tipologie di Covid-19, arrivati in Italia almeno un mese prima.
Come spesso accade nella ricerca scientifica, le domande si moltiplicano man mano che si procede negli studi. E dunque ora la questione sta nel determinare che differenza ci siano tra i vari ceppi lombardi. Da quanto sono riusciti a ricostruire i ricercatori il ceppo A, quello che ha colpito Bergamo, godrebbe di una capacità di trasmissione più celere rispetto al ceppo B, che con i suoi due figli ha interessato Lodi. Infatti nella bergamasca un soggetto infetto ne contagiava 3,5, mentre nel lodigiano uno ne infettava 2.
Si giunge così all’ultima questione da districare: come mai i virus si sono concentrati tutti in quella zona? La risposta a questa domanda trascende il campo scientifico ed è riposta in condizioni che lo studio degli ospedali lombardi non può sondare. Qualche ipotesi però è stata avanzata. Secondo gli studiosi è plausibile che una tale concentrazione di ceppi nel territorio lombardo sia dovuto alla massiccia presenza di aziende implicate in rapporti commerciali con Cina e Germania. A Lodi è concentrato il 16% dell’import con la Cina e il 5% di quello con la Germania. Anche Bergamo conta un gran numero di aziende che importano da questi due Paesi: l’11% dell’import dalla Cina e il 10% dalla Germania.
Quest’ultimo passaggio dello studio proposto dal Niguarda e dal San Matteo risiede nel campo dell’ipotesi, ma una correlazione tra l’alta attività di import e l’arrivo del virus in Lombardia non è poi così impensabile.
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