Un medico dell’ospedale di Alzano, che poi si è dimesso, rivela: già il 15 febbraio la prima lastra sospetta: “questo per me è Covid”.
“Non sono un intenditore ma qualcosa non andava. Quindi ho chiamato un internista di Medicina, esperto. Ha guardato la lastra e ha detto ‘questa per me è Sars-cov‘. Poi il paziente è andato in reparto”. Una testimonianza che inquieta, anche se ormai il fatto che il virus fosse in circolo molto prima di quanto si pensasse è una certezza. La nuova rivelazione, lanciata dalle pagine bergamasche del Corriere della Sera, arriva da un medico che lavorava all’ospedale di Alzano, e che ora si è dimesso. Secondo quanto racconta, il primo morto accertato per coronavirus nella zona, Franco Orlandi di Nembro, già “il 15 febbraio” – 5 giorni prima del caso Codogno quindi – era un sospetto Covid. “Il primo paziente di Nembro poi deceduto lo presi in carico io al pronto soccorso di Alzano” racconta Nadeem Abu Siam, medico di origine palestinese. Si è dimesso, spiega, perché non gli è stata data la possibilità di andare a trovare la madre malata in Palestina. Il suo racconto è puntuale, e va a ricostruire i fatti di quella giornata, il 15 febbraio. Il dottor Siam ricorsa di aver “chiamato la Radiologia” e di aver fatto fare “una lastra” al paziente in questione. Un collega internista, a quel punto, avrebbe azzardato la diagnosi: “Questa per me è Sars-cov”. Orlandi morì il 25 febbraio.
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L’ospedale di Alzano è al centro di una inchiesta per il caso della chiusura e della riapertura del Pronto Soccorso, in poche ore, il 23 febbraio. “Non c’era neanche la preparazione per affrontare tutto – aggiunge Siam -. Il 23 febbraio dovevo fare il turno di notte, fino a lunedì mattina. Alle 17 ero stato chiamato e mi avevano detto ‘siamo chiusi, non venire nemmeno’. Alle 19 un’altra telefonata per dirmi di andare a lavoro. Avevano già riaperto”. Appena rientrati, ha raccontato l’ex medico di Alzano, “nessuno sapeva cosa fare, il flusso di pazienti era ancora fermo. Fino a quel momento – ha aggiunto – non avevamo mai utilizzato mascherine in modo generalizzato e in tutto avevamo 10 tamponi. Li abbiamo usati sul nostro personale perché si iniziavano a notare anche sintomi tra medici e infermieri”.
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