Noureddine Hannach ha avuto la famiglia distrutta nel crollo al centro commerciale e ha raccontato cosa gli dà la forza di sopravvivere.
Un racconto drammatico, una storia tragica, inspiegabile: una famiglia separata da una strada. Madre e due figli su un versante, travolti da un crollo che gli spezza la vita, il padre con un altro figlio dall’altro condannati da un episodio che ha cambiato le loro esistenze. Noureddine Hannach, scampato alla tragedia parla al Corriere: «Questa è una cosa dove non ci sono le parole e faccio fatica a spiegarmi. Non servivano nemmeno le autopsie, capisce? Come se fosse stato… come se fosse stato un infarto, ecco… Mia moglie morta, due dei miei tre figli morti, la nostra famiglia cancellata, e non c’è mai stato nulla da scoprire, e nessuno doveva dare altre risposte. Fauzia, Soulaymane e Yaocout hanno bisogno di pace; i funerali saranno celebrati in Marocco, e loro riposeranno per sempre a Casablanca, la nostra città. Al mio posto, anche Fauzia avrebbe deciso in questo modo. Ma dobbiamo attendere a causa di tutti i problemi legati a questa influenza, dei problemi negli aeroporti… Le salme non possono essere rimpatriate. Mi hanno parlato della prossima settimana. Forse».
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Noureddine racconta il suo dramma a partire dall’incontro con la moglie: «Con Fauzia abbiamo avuto un breve fidanzamento, ci siamo sposati e siamo partiti per l’Italia. Avevamo le stesse idee, il destino ci ha permesso di incontrarci. Volevamo dei figli e sapevamo che il futuro non poteva essere in Marocco. Non in quel momento. La nostra prima città è stata Bari, nel 2009. Poi abbiamo scelto di trasferirci qui, in provincia di Varese. C’erano molti connazionali, avevano parlato bene della terra e delle persone». Anche dopo la tragedia, la cosa che colpisce Noureddine è la gentilezza delle persone che lo sostengono in questo momento: «Gente buona… Stamattina mi hanno chiamato, di nuovo, i carabinieri. Non cercavano informazioni per le indagini, volevano sapere come stessi… No, io non cedo, non me lo posso permettere: ho la responsabilità di proteggere mio figlio, una responsabilità enorme, spero non troppo enorme per le mie forze… All’inizio, avevo pensato di non dirgli niente, di ritardare, di inventare che… Ma gli avrei mancato di rispetto, avrei provocato una specie di agonia, sperare che prima o poi sarebbero tornati… Non tornerà più nessuno… Ci sono tanti momenti, di giorno e di notte — la testa pesa più dell’intero mio corpo, ho paura a sdraiarmi, anche se sono stanco — che vengo assalito da un vuoto come quando sei in aereo con i temporali… Ripenso al tempo con Fauzia, a quello con Soulaymane e Yaocout. Ripenso a quando stavo con loro, ripenso e faccio durare l’azione minuti e minuti anche se, magari, nella realtà erano azioni durate soltanto dei secondi».
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