Torna al centro dell’attenzione l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Sul Riformista sono emerse, infatti, nuove conversazioni tra il Cavaliere e il giudice Amedeo Franco, a proposito della condanna in via definitiva emessa nel 2013 ai danni di Berlusconi. In un’intervista sul giornale interviene anche Emanuele Macaluso: “Su questo processo a Berlusconi ci sono tante cose da chiarire”.
Si torna al parlare del caso Berlusconi, e lo si fa in merito alla sentenza del processo Mediaset che nel 2013 condannò l’ex premier a quattro anni di carcere per frode fiscale. Di recente, infatti, il Riformista ha pubblicato una conversazione tra l’ex presidente del Consiglio e Amedeo Franco, uno dei giudici che lo condannò in via definitiva. Proprio a causa di quella condanna, Berlusconi fu costretto a lasciare il Parlamento. Ora emergerebbero i commenti del giudice, che avrebbe considerato la sentenza come pilotata da motivazioni politiche. Il collegio di giudici della Cassazione, secondo le parole di Franco, sarebbe stato un vero e proprio “plotone di esecuzione“. La conversazione avrebbe avuto luogo quattro anni fa, e ora sembra corroborata anche da una registrazione audio diffusa anche in diversi programmi televisivi. Tuttavia, è necessario specificare: al momento le accuse di Franco restano accuse, tra l’altro anche abbastanza generiche.
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Ora, sul caso, interviene anche Emanuele Macaluso in un’intervista al Riformista. Lo storico esponente di sinistra che, con i suoi 96 anni, ha conosciuto la Sicilia dei braccianti, la Guerra Fredda, la direzione dell’Unità ai tempi di Enrico Berlinguer, la corrente migliorista al fianco di Giorgio Napolitano, ora torna a parlare di Berlusconi. E afferma: “Su questo processo a Berlusconi ci sono tante cose da chiarire, su come è stato condotto e sulla sentenza emessa. Ma la condizione fondamentale per provare a fare chiarezza è di liberarsi dal berlusconismo e dall’antiberlusconismo“. Insomma, secondo Macaluso bisogna fare chiarezza, tenendo anche conto che il giudice Amedeo Franco è deceduto l’anno scorso, e che dunque non può partecipare al dibattito. Di lui, sulla vicenda, resta solo quello stralcio di conversazione. Eppure bisogna indagare, e per farlo è necessario abbandonare le vecchie dicotomie: “Occorre uscire dalla propaganda e da posizioni precostituite che sono da ostacolo ad una seria ricerca della verità, politica e processuale”.
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All’interno di questo quadro, sarebbe necessario non solo indagare il caso Berlusconi, ma riesaminare l’intero rapporto tra magistratura e politica. Il processo in questione si somma, infatti, al recente Palamara-gate, al caos procure, alle nomine pilotate e a una serie di altre ambiguità che hanno travolto l’Anm. Ora Macaluso commenta: il vero problema non consiste nella magistratura troppo forte, prevaricatrice ai danni della politica. La vera criticità riguarda, piuttosto, una politica troppo debole. “Penso che alla base vi sia l’estrema debolezza della politica. E quando la politica è debole, è chiaro che finiscono per prevalere altri poteri. Non è che c’è una prevaricazione della magistratura, ma quello che si manifesta, e non da oggi, è la debolezza della politica nel rapporto con la magistratura. Come non bastasse, abbiamo un ministro di Giustizia che è il vuoto assoluto, completamente privo di autorevolezza”.
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Insomma, la capacità del magistrato di influenzare la vita pubblica sarebbe direttamente proporzionale alla debolezza del politico: più è fragile la politica, più la magistratura prende forza. Ovviamente, per garantire una maggiore separazione dei poteri, è anche possibile prendere provvedimenti specifici, come quello della separazione delle carriere tra politici e magistrati. Su questo Macaluso non ha dubbi: “Credo sia un modo per valorizzare da un lato il ruolo dei giudici, e dall’altro quello dei pubblici ministeri. Se c’è confusione tra le due carriere, io credo che sia un errore. L’attività accusatoria è una cosa, quella giudicante un’altra. L’accusatore non può diventare giudice”.