Italia 2020, previsioni Istat: calo dell’attività economica

Il quadro economico e sociale a metà 2020 si presenta particolarmente complesso ed incerto. Oltre al rallentamento congiunturale del 2019, si è andato ad aggiungere anche l’impatto della crisi sanitaria.

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Nel primo trimestre il Pil ha segnato un crollo congiunturale del 5,3%. Dai segnali più recenti, si parla di: inflazione negativa, calo degli occupati, marcata diminuzione della forza lavoro e caduta del tasso di attività. Le previsioni Istat stimano per il 2020 un forte calo dell’attività economica, solo in parte recuperato l’anno successivo. In sintesi è questo il quadro dell’Istat presentato oggi, nel Rapporto annuale.

La crisi sanitaria è arrivata in una fase in cui, l’economia italiana era già molto debole. Lo scorso anno infatti, il Pil era cresciuto di appena lo 0,3% e il suo livello inferiore dello 0,1% rispetto a quello registrato nel 2011. La politica di bilancio fortemente espansiva, necessaria per contrastare la crisi e resa possibile dalla sospensione del Patto di stabilità e crescita, avrà quest’anno un impatto molto rilevante sui saldi di finanza pubblica e sul rapporto tra debito e Pil. Lo scorso anno, l’Italia, ha portato avanti il suo obiettivo di risanamento della finanza pubblica, favorito da un ulteriore ampliamento dell’avanzo primario (l’1,7% del Pil). Il rapporto deficit/Pil è sceso dal 2,2% del 2018 all’1,6%. Questi progressi hanno reso possibile mantenere invariata l’incidenza del debito sul Pil (al 134,8%) che tuttavia è rimasta molto sopra la media Uem (all’84,1%).

Torneremo ai livelli pre – crisi?

È probabile che ci vorrà molto tempo, per poter tornare ai livelli pre –crisi. Soprattutto alla luce delle stime sugli effetti inter –settoriali delle misure misure di lockdown introdotte in Italia e all’estero. L’Istat ha infatti evidenziato che con le misure di lockdown introdotte in Italia e all’estero la caduta del valore aggiunto complessivo, rispetto a uno scenario di riferimento con assenza di shock, “è pari al 10,2% ed è determinata per 8,8 punti percentuali dalle dinamiche interne e per 1,4 punti dagli effetti ‘importati'”. Di questi ultimi, 0,2 punti, secondo il rapporto, “sono ascrivibili alla riduzione di domanda tedesca, 0,4 alla dinamica dell’area euro (esclusa la Germania) e 0,8 punti a quella del resto del mondo”.

Impatto più evidente per alcune attività

Gli effetti diretti e indiretti del lockdown si sostanziano in contrazioni significative del valore aggiunto riguardo tutti i principali comparti dell’economia italiana (non meno dell’8%). Gli impatti misurati nell’esercizio sono più evidenti per alcune attività del terziario (-19,0% per alloggio e ristorazione; -11,3% per i servizi alla persona; -10,3% per commercio, trasporti e logistica) e per le costruzioni (-11,9%). La componente ‘importata’ è piccola nei servizi ed è ampia nell’industria (tra 2,7 e 3,5 punti), in ragione della sua maggiore integrazione negli scambi internazionali e nelle catene globali del valore.

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Va inoltre indicato che la crisi di liquidità del 2020 potrebbe incidere fortemente sull’operatività delle imprese “qualora l’accesso a risorse esterne non fosse agevole”. Una stima dell’impatto del lockdown sulla liquidità di circa 800mila società di capitale italiane (che rappresentano quasi la metà dell’occupazione e il 70% del valore aggiunto del sistema produttivo) evidenzia che all’inizio della fase di graduale riapertura delle attività, a fine aprile, quasi due terzi delle imprese (circa 510mila) avevano, verosimilmente, liquidità sufficiente a operare almeno fino a fine 2020 mentre oltre un terzo sarebbe risultato illiquido o in condizioni di precarie di liquidità. L’Istat ha precisato inoltre “che il crollo del fatturato a partire dal mese di marzo 2020 ha accentuato le difficoltà finanziarie delle imprese, ponendo sfide severe anche per quelle con una solida situazione economico-finanziaria”.

Secondo quanto rilevato dall’Istat, in particolare, si stima che il 16,5% (quasi 131mila unità) fosse già illiquido alla fine del 2019; un ulteriore 13,3% (circa 105mila) lo sarebbe diventato tra gennaio e aprile 2020; il restante 5,9% (oltre 46mila imprese) l’annientamento delle condizioni di liquidità è tale da mettere a rischio l’operatività nel corso del 2020.

La crisi di liquidità

Problemi di liquidità diffusi in molti settori del nostro modello di specializzazione: costruzioni, bevande, autoveicoli, altri mezzi di trasporto nell’industria; consulenza aziendale, alloggio, commercio di autoveicoli, agenzie di viaggio e servizi di trasporto marittimo e aereo nel terziario. La crisi di liquidità delle imprese, avrà peso sia nell’immediato, provocando fallimenti o cadute strutturali, sia nel lungo periodo, andando a compromettere le possibilità di recupero delle imprese che avrebbero avuto margini di cassa. In base ai risultati di questa analisi, circa un terzo delle società di capitale classificabili a “produttività elevata” risulta a fine aprile illiquido con una liquidità non sufficiente a supportare, fino alla fine del 2020, flussi di cassa pari a quelli registrati in media nei primi quattro mesi dell’anno.

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Il mercato del lavoro

Il quadro del mercato del lavoro pre-pandemia ha mostrato diseguaglianze crescenti. Gli uomini, i giovani, il Mezzogiorno e i meno istruiti non hanno ancora recuperato i livelli e i tassi di occupazione del 2008. Nel 2019 il numero di occupati ha superato di 519mila unità il valore del 2008 nel Centro-nord mentre nel Mezzogiorno si è ancora in negativo di 249mila. Tra i giovani di 25-34 anni gli occupati sono oltre 1 milione e 400mila in meno. Le donne invece, al contrario, segnano un aumento di 602mila unità mentre gli uomini occupati in settori particolarmente esposti agli andamenti del ciclo hanno subito un calo di 332mila unità. Per quanto riguarda la qualità del lavoro, sono aumentate le diseguaglianze a svantaggio delle donne, dei giovani e dei lavoratori del Mezzogiorno. Vi sono infatti con maggior frequenza lavoratori a tempo determinato e a tempo parziale, specie involontario, con posizioni lavorative ad alto rischio di marginalità e di perdita del lavoro.

Fattori di reazione positiva

I fattori di fragilità del sistema produttivo sono molteplici. Il problema del reperimento della liquidità è molto diffuso, i contraccolpi sugli investimenti – segnalati da una impresa su otto – rischiano di portare un ulteriore freno ed è anche preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l’input di lavoro. Si intravedono però fattori di reazione positiva e di trasformazione strutturale in una componente non marginale del sistema produttivo. Nella prima fase dell’emergenza sanitaria, conclusasi il 4 maggio, il 45% delle imprese aveva sospeso l’attività, in gran parte a seguito dei decreti del Governo e circa una su sette per propria decisione. Tra le imprese che si sono fermate prevalgono largamente quelle di piccola dimensione.

Il calo dell’attività economica nel sistema produttivo

Le misure di contenimento hanno portato ad una significativa riduzione dell’attività economica per una larga parte del sistema produttivo: oltre il 70% delle imprese ha dichiarato una riduzione del fatturato nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; oltre il 40% ha riportato una caduta maggiore del 50%. Previsto per il 2020 un forte calo dell’attività (-8,3%), riguardante tutte le componenti settoriali, con una contrazione del Pil che, secondo le previsioni, sarà solo in parte recuperata l’anno successivo. La crisi ha determinato un primo impatto sull’attività a marzo e poi uno pesantissimo nel mese successivo, con una contrazione congiunturale pesantissima di tutte le attività produttive. L’indice di produzione industriale è risultato in aprile inferiore di oltre il 42% rispetto a un anno prima mentre per quello delle costruzioni il calo tendenziale è pari a circa il 68%.

Nel primo trimestre 2020, il blocco parziale delle attività connesso alla crisi sanitaria ha portato effetti diffusi e profondi. Il Pil si è contratto del 5,3% su base congiunturale. Dal lato della domanda, i consumi privati hanno avuto una caduta del 6,6% rispetto al trimestre precedente, gli investimenti dell’8,1%, mentre vi è stato un contributo positivo delle scorte. Sul fronte degli scambi con l’estero, il calo delle esportazioni è stato più intenso di quello delle importazioni (rispettivamente -8,0% e -6,2%).

Le esportazioni

La contrazione di entrambi i flussi commerciali con l’estero ha segnato un’ulteriore accelerazione; le esportazioni in particolare, sono diminuite di quasi il 30% nel bimestre marzo-aprile rispetto agli stessi mesi del 2019. I dati più recenti indicano, tuttavia, iniziali segnali di inversione. Il commercio estero extra-Ue di maggio ha registrato un primo significativo rimbalzo delle esportazioni e gli indicatori dei climi di fiducia delle imprese mostrano a giugno una significativa risalita rispetto al mese precedente.

I prezzi

Per quanto riguarda i prezzi, nel 2019 è emersa una nuova decelerazione dell’inflazione e la debolezza della domanda ha portato un’ulteriore discesa dei margini di profitto. Nei primi mesi del 2020 gli effetti del crollo delle quotazioni del petrolio hanno favorito un calo tendenziale dei prezzi al consumo (Indice Ipca) dello 0,3% a maggio. La percezione di aumento dell’inflazione, emersa di recente, è quasi certamente connessa alla risalita dei prezzi dei cosiddetti beni di largo consumo, il cui tasso di crescita tendenziale si è avvicinato al 3% ad aprile per scendere al 2,6% a maggio.

Il quadro dell’Istat

La pandemia da Covid-19 si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da “forti e crescenti disuguaglianze”, ha rilevato ancora il Rapporto annuale 2020. La classe sociale di origine “influisce ancora in misura rilevante sulle opportunità degli individui nonostante il livello di ereditarietà si sia progressivamente ridotto. Per la generazione più giovane però è anche diminuita la probabilità di ascesa sociale” ha sottolineato l’Istat. Sul fronte del mercato del lavoro la fotografia al 2019 ha segnalato una crescita di diseguaglianze territoriali, generazionali e per titolo di studio rispetto al 2008. Quelle di genere sono diminuite in termini di quantità di occupati ma aumentate sotto il profilo della qualità del lavoro.

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