Il noto conduttore Piero Chiambretti ha di recente raccontato come il coronavirus abbia cambiato il senso della vita.
Piero Chiambretti e il coronavirus
Chiambretti è stato uno dei primi volti noti del mondo dello spettacolo italiano a dover fare i conti con il coronavirus. A tal proposito, nel corso di una recente intervista rilasciata a La Stampa, ha raccontato come il Covid-19 lo abbia cambiato. “Non so se tornerò in tv, e non ho ancora definito con Mediaset i programmi per la prossima stagione. Vorrei che l’anno nuovo portasse vita nuova. Mi piacerebbe fare qualcosa che non ho mai fatto prima, di diverso”.
Per poi aggiungere: “Un programma in prima serata in cui i bambini si sostituiscono agli adulti. Si dice sempre che loro saranno i grandi di domani, ma molte volte sono già i grandi di oggi. Questa di massima sarebbe l’idea. Poi si sa, la televisione è peggio del calcio: tutti i giorni si cambia idea”.
Cerimonia laica all’Ospedale Mauriziano
Mercoledì 1 luglio si è svolta una cerimonia laica presso l’Ospedale Mauriziano di Torino in memoria delle vittime del Covid-18. Tra i presenti proprio Piero Chiambretti che ha voluto così ricordare la mamma Felicita e rendere omaggio a medici ed infermieri.
“Sono stati loro a contattarmi, gli angeli del pronto soccorso. Non avrei potuto e voluto mancare. Quelle donne e quegli uomini sono la dimostrazione vivente di quanto sia assurdo tutto ciò che si racconta in giro sulla sanità pubblica. La ripartenza? Lenta ma prevedibile. L’importante è andare avanti”.
Già qualche tempo fa, d’altronde, il presentatore, con una lettera scritta al quotidiano La Repubblica ha voluto ringraziare medici ed infermieri per il loro lavoro durante l’emergenza coronavirus. “Il reparto ‘Covid’ era allestito nello stesso pronto soccorso del quale ben presto avrei conosciuto tutto o quasi. Lo smarrimento iniziale di tutti era l’incertezza. Gli occhi di quelli che arrivavano ad ogni ora, come in un ospedale militare da campo, erano spalancati, terrorizzati, in cerca di qualche segnale di conforto. E da subito quel segnale arrivò da un gruppo di infermieri e medici che, bardati al punto di non riconoscerli e scambiarli, si fecero partecipi del nostro dramma“.
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Per poi aggiungere: “La cosa che subito mi colpì di questi angeli fu l’età: tutti giovanissimi con una energia che trasmettevano ogni volta che li chiamavi, sempre sorridenti e rassicuranti, anche laddove le condizioni di salute non erano buone. Non avevano ricette per una pronta guarigione, non avevano la pillola magica che fa tornare tutti a casa, ma la loro efficienza mischiata alla grande umanità erano una medicina molto più forte delle medicine sperimentali che somministravano. Sempre presenti, il giorno come la notte, sempre vestiti dalla testa ai piedi con le maschere protettive che lasciavano evidenti segni in faccia”.