I dem spingono per accedere subito ai fondi del Mes, ma il Movimento 5 Stelle dice di no: il premier Conte prova a mediare.
Una convivenza difficile, quella tra Pd e M5S: lo si sapeva dall’inizio, certo, ma ogni volta che i due partiti vanno allo scontro – e capita praticamente sempre – i dubbi sulla reale gestibilità di una alleanza di questo tipo tornano sempre con prepotenza. Il contendere ora è tutto sul Mes: si o no? Per i democratici sarebbe si, ed in fretta. Ma il Movimento al momento appare intransigente. «Dovete darmi il tempo che ci vuole, il tempo di completare il quadro europeo, chiudere l’accordo con la Ue al prossimo Consiglio, poi farò il possibile per convincere il M5S» avrebbe chiesto Giuseppe Conte ad alcuni ministri del Pd. Oggi il premier ha in agenda una telefonata con Angela Merkel, che arriva dopo i contrasti dei giorni scorsi sul Mes. Curiosa la posizione di Conte: da un lato appare come un capo del governo con le mani legate, ostaggio della posizione intransigente ribadita da Vito Crimi. Dall’altro però il premier non appare contrario al modello di finanziamento previsto dal Meccanismo europeo di stabilità, non ritenendo che ci siano elementi che possano limitare l’indipendenza della politica economica italiana. La questione vera è che non ha alcuna intenzione di affrontare un voto del Parlamento con il rischio che gli oltre 36 miliardi – che arriverebbero in Italia a tassi negativi – vengano approvati da una maggioranza diversa da quella che ora regge l’esecutivo. La lettera al Corriere di Nicola Zingaretti, contenente i “dieci buoni motivi per richiedere gli aiuti del Mes”, ha in qualche modo smosso le acque. Ma Conte appare attendista, sull’argomento: «Prima vediamo come va il prossimo Consiglio europeo, quanti soldi e quali strumenti avremo esattamente a disposizione — sarebbe il messaggio che Conte andrebbe ripetendo ai vertici del Pd — poi sarò io stesso a verificare i numeri in Senato».
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Al Pd Conte chiede pazienza: l’obiettivo è quello di evitare che lo strappo di sette, otto senatori faccia saltare il governo. Ma la pazienza del Pd sembra essere davvero agli sgoccioli. Il nodo è questo: accedere subito ai fondi del Mes per risparmiare sugli interessi, come vuole il Pd, o finanziare a debito l’intera operazione di finanziamento, come vuole il M5S? Il problema dunque non è solo il voto parlamentare: è piuttosto l’urgenza di decidere come finanziare gli interventi di bilancio, a partire da quelli di luglio. «Possibile che siamo bloccati su una questione ideologica e nominalistica? — si sarebbe sfogato un ministro in quota Pd — Fare altro debito pubblico pur di non usare il Mes ci costerebbe 500 milioni all’anno». Da questa riflessione sarebbe partita l’accelerazione di Zingaretti, sostenuta con forza da Dario Franceschini. Nelle ultime riunioni il capo delegazione del PD, sempre più dubbioso sull’attività del governo, sembra voler sfidare Conte a muoversi, a prendere delle decisioni. E ieri ad aumentare la tensione ci si è messo anche il decreto Semplificazioni, il cui testo il Pd, Italia Viva, Leu e anche tanti nel M5S hanno appreso dai giornali. Il timore, da parte dei pentastellati, è che il PD voglia far cadere il governo e creare un effetto domino – in negativo – dentro il Movimento 5 Stelle. Ma non sarebbe questo l’obiettivo di Zingaretti e compagni, stando almeno a quel che ripete Franceschini nelle riunioni riservate: «Ogni nostra critica è per rafforzare l’esecutivo, non certo per farlo cadere». Ragionamenti simili li ascolta chi parla con Matteo Renzi, che da quando ha raggiunto una tregua con Conte si è messo a sostenerlo: «Fino a un mese fa ero il Pierino che voleva toccare l’intoccabile — spiega Renzi — Ora la guerra a Conte la fa il Pd e noi siamo quelli che pensano al Paese. Per litigare ci sarà tempo…». Sul Mes, Renzi sta con Zingaretti. Oppure, come sostengono dentro IV, sarebbe il Pd che «finalmente» si è spostato sulle posizioni di Italia Viva. Ma Renzi sembra approvare il «traccheggiamento» di Conte sul voto: «serve a convincere i senatori ribelli» e a fare in modo che i no del M5S siano «pochissimi». Prima però che tutto questo accada il dibattito dovrebbe virare sui parametri tecnici del Mes, anche perchè a Palazzo Chigi si avverte una sorta di paura: «Prenderlo noi per primi sarebbe una manifestazione di debolezza dell’Italia». Una sorta di resistenza ideologica, legata alla memoria di quello che ha rappresentato nel 2012 il Mes per la Grecia.
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