Dichiarate all’epoca come ‘polmoniti strane’, secondo quanto emerso dall’inchiesta della procura di Bergamo, si trattava già di Coronavirus
Rintracciate lo scorso inverno, le avevano definite polmoniti ‘strane’ all’ospedale di Alzano. Era dicembre 2019 e la Val Seriana era già impestata dal coronavirus. Senza saperlo. O meglio: senza conoscere il nome di quel nemico invisibile. Qui in Italia come pure accadeva a Wuhan in Cina: dove però il nemico, Sars Covid 19, era già stato battezzato dalla medicina e dalle autorità (inizialmente restìe nel comunicarlo al mondo). E il fulcro dei contagi era proprio Alzano Lombardo con il suo ospedale Pesenti-Fenaroli, dove alla fine dello scorso anno c’erano già 40 persone ricoverate per virus non riconosciuti. Inizieranno a essere identificati e chiamati con il loro nome solo dal 23 febbraio. Dopo più di due mesi.
L’inchiesta della procura di Bergamo
La novità è emersa in seguito all’inchiesta di cui si sta occupando la procura di Bergamo. Si stanno svolgendo delle indagini riguardo la mancata istituzione della zona rossa, proprio in Val Seriana, sulle Rsa, sulla chiusura-riapertura lampo dell’ospedale di Alzano e sui mancati dispositivi di protezione per gli operatori sanitari e i medici di base. In questi giorni, i magistrati stanno parlando in modo ininterrotto, per poter comprendere appieno come si svolsero i fatti, con medici, dirigenti ospedalieri, dirigenti di aziende sanitarie e farmacisti (oltre ovviamente ai politici e ai vertici di Confindustria Bergamo e Lombardia). In base alle testimonianze raccolte, sta prendendo forma l’ipotesi, fondata, che quello che è andato storto in Lombardia – in particolare nel secondo e più violento focolaio del coronavirus (la bergamasca Val Seriana), ha a che fare con una sottovalutazione nemmeno breve del virus. Fino ad ora sapevamo soltanto che un mese prima di Codogno, Roma aveva avvertito la Regione del pericolo, ma la Lombardia non informò i dottori.
La ricostruzione
L'”illuminazione” ai magistrati è venuta basandosi su tutte quelle polmoniti sospette che – nell’ospedale di Alzano, lo attestano ora i referti forniti dall’ Ats, acquisiti dalla procura – sono state diagnosticate tra novembre 2019 e gennaio 2020. Almeno 110. Polmoniti che secondo le circolari ministeriali non erano da “tamponare”. Il motivo lo ha spiegato Repubblica: la discrepanza tra le circolari diffuse dal ministero della Salute sui “Covid sospetti”. Circolari acquisite dalla pm Rota quando si reca a Roma per interrogare il premier Conte e i ministri Lamorgese e Speranza. Le linee guida, tra la prima versione del 22 gennaio, e quella del 27 gennaio, cambiano: inizialmente si chiedeva di considerare un caso sospetto anche “una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica”. Dal 27, il criterio protocollare viene modificato con l’introduzione di una variabile fondamentale: Oltre ad avere i sintomi, i casi sospetti devono anche avere “una storia di viaggi nella città di Wuhan (e nella provincia di Hubei), Cina, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia” oppure aver “visitato o ha lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan e/o nella provincia di Hubei, Cina”.
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I dati
Gli effetti di questo cambio di passo si capiranno dopo, al momento ci sono i numeri a parlare. Dai dati forniti agli inquirenti, dall’Ats di Bergamo, già a fine 2019 una quarantina di persone erano ricoverate in ospedale ad Alzano a causa di virus sconosciuti. Molti erano certamente dei casi di Covid. Si riveleranno 60 giorni dopo. Le linee guida emanate poi da Roma prevederanno, appunto, che i “sospetti” non dovessero essere trattati come potenziali Sars Covid. In Val Seriana i medici nutrivano già dei dubbi a riguardo, soprattutto i medici di base. Anche loro però, evidentemente erano disorientati. Dai dati di Ats Bergamo e Asst Bergamo Est (ne è entrato in possesso anche il consigliere regionale Niccolò Carretta) emerge con forza il picco di polmoniti “atipiche” o “non classificabili” già a dicembre. Ad Alzano. Tra gennaio e febbraio l’impennata di casi. Fino ad arrivare al 23 febbraio: quando il coronavirus viene individuato ufficialmente nella Bergamasca (due giorni dopo l’emersione del Paziente 1 a Codogno). Quanti ricoveri ci sono stati, nei mesi precedenti a quel 23 febbraio, con diagnosi in codice 486 (“polmonite, agente non specificato”)? Centodieci, a partire da novembre 2019. Un altro elemento importante finito sul tavolo della procura: il racconto dei farmacisti (soprattutto comunali).
I casi di polmoniti anomale
A partire da dicembre fino a fine febbraio – hanno riferito – , c’è stata una massiccia, abnorme uscita di farmaci prescritti dai medici per polmoniti anomale. Tanto che a fine febbraio le farmacie non ne avevano più. Sono gli stessi farmaci poi inseriti nel protocollo farmacologico per la cura del coronavirus. In sostanza: l’ipotesi fondata dei pm (al di là della questione della chiusura-riapertura lampo dell’ospedale di Alzano il 23 febbraio) è che già alla fine di dicembre 2019 il cuore della val Seriana fosse già impestato dal Covid (in forma, è vero, ancora “anonima”). Che lo sapessero i medici, l’Ats, e dunque Regione Lombardia. Ma che, nonostante la situazione richiedesse adeguati e mirati interventi, queste misure siano state differite. Fino all’inizio del disastro (fine febbraio). A cui ha poi contribuito la mancata istituzione della zona rossa. “Ricordare i morti è riflettere sugli errori commessi”, ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella domenica sera prima della commemorazione per le vittime Covid al cimitero di Bergamo. Un monito che a molti è suonato come un forte impulso alle attività di accertamento della verità da parte della magistratura.