Uno scandalo finanziario in cui è coinvolta la compagnia fintech Wirecard sta facendo vacillare la reputazione e l’immagine della Germania: nel mirino c’è anche l’Autorità federale di vigilanza finanziaria del Paese.
Lo scandalo finanziario che vede protagonista la società tedesca Wirecard non ha soltanto messo in evidenza un buco multimiliardario nei conti di una delle società di fintech più apprezzate della Germania: il caso ha infatti rivelato anche un vuoto preoccupante all’interno del regime normativo del Paese.
Ciò di cui si sta parlando ultimamente – anche se, a conti fatti, di queste irregolarità se ne sospettava parecchio già da diverso tempo – riguarda il grave scandalo finanziario che, in Germania, coinvolge la società di pagamenti online Wirecard. Di recente è infatti venuto allo scoperto un ammanco di 1,9 miliardi di euro, cifra che si pensava fosse stata depositata come fondi fiduciari in due banche delle Filippine ma che in realtà non è mai sopraggiunta.
Un caso, questo, che “sta umiliando la Germania” – come riportano alcuni media internazionali – tanto che il governo di Angela Merkel deve ora interrogarsi sull’efficacia di BaFin (l’Autorità federale di vigilanza finanziaria del Paese, ovvero il corrispettivo della Consob italiana) come organo di controllo per i suoi mercati finanziari. Ma il caso ha risvolti preoccupanti anche al di fuori dei confini tedeschi: si tratta di un problema dal sapore persino europeo.
L’Unione europea, infatti, sta già lamentando un possibile danno di immagine e di reputazione come luogo sicuro in cui investire. Bruxelles, non a caso, è pronta ad aprire un’indagine sul fiasco di Wirecard, mossa che potrebbe accelerare il futuro processo istitutivo di un organo di regolamentazione europeo, di uno strumento più forte e in grado di monitorare efficacemente le varie autorità nazionali di vigilanza.
Lo scandalo Wirecard: le accuse al Financial Times
Come sottolineato da BusinessWorld, il crollo di Wirecard è certamente un’umiliazione per i supervisori tedeschi. Numerosi venditori e diversi giornalisti del Financial Times hanno da anni riportato fatti inquietanti sulla società, oltre che raccontato dell’inaffidabilità dei suoi conti. L’Autorità tedesca del BaFin non è riuscita a monitorare efficacemente i movimenti dell’azienda, nonostante abbia ricevuto diverse segnalazioni da un informatore così come diversi reclami da altre autorità di regolamentazione. E addirittura, ha preferito puntare il dito dall’altra parte, vietando temporaneamente la vendita dei titoli Wirecard e aprendo un’indagine sui giornalisti del Financial Times.
Eppure, la storia della società tedesca ha cominciato a insospettire gli addetti ai lavori già anni addietro. Fondata nel 1999 con sede ad Aschheim (non lontano da Monaco di Baviera), Wirecard ha iniziato il suo business nel ramo del “fintech”, fornendo cioé la tecnologia che supporta i pagamenti online e l’emissione di carte di credito. Iniziando dal basso, nel periodo compreso tra il 2011 e il 2014 la società avrebbe raccolto investimenti per 500 milioni di euro da vari azionisti – secondo quanto spiegato dal New York Times – dando così il via ad un’espansione internazionale che gli ha permesso di acquistare piccole società in tutta l’Asia.
Un’espansione degna di nota, tanto che la reputazione dell’azienda ha cominciato ad attirare l’attenzione di numerosi investitori e realtà di collaborazione. Ma il Financial Times, però, aveva cominciato a segnalare qualche dubbio su questa rapida evoluzione. Alcuni analisti e operatori finanziari, infatti, avevano raccontato di questioni e manovre poco chiare durante e dopo l’acquisizione delle società da parte di Wirecard. Fino a che non si è arrivato addiritura ad ipotizzare irregolarità contabili nella divisione di Wirecard di Singapore. Il tutto, apparentemente, per offire ai suoi altri possibili investitori un’immagine di un’azienda sicura e della quale fidarsi.
Ed è a quel punto che il BaFin avviò una campagna contro gli analisti, i giornalisti e i media americani: le irregolarità e i dubbi sollevati sarebbero stati privi di fondamamento. Eppure, ad oggi è stato scoperto un ammanco del valore di 1,9 miliardi di euro; fatto che sta scatenando molte critiche e accuse nei confronti del BaFin stesso, della società di consulenza e revisione Ernst&Young, e l’intero escutivo Merkel.
Il declino della compagnia: arresti, fughe e crolli in borsa
Ad inizio mese la sede di Wirecard è stata perquisita, sotto il sospetto che la compagnia potesse aver divulgato informazioni fuorvianti per influenzare il prezzo delle sue azioni. Mercoledì 17 giugno, inoltre, Ernst&Young non è riuscita a chiudere il bilancio 2019 di Wirecard per mancanza di informazioni sui saldi di cassa di due conti asiatici; conti che sono stati dichiarati inesistenti dalla Banca centrale delle Filippine. Alla luce di ciò, il consiglio di amministrazione e l’amministratore delegato della compagnia tedesca, Markus Braun, avevano resto noto di essere stati vittima di frode. Ma lo scorso 19 giugno Braun si è dimesso, ed è stato trattenuto in arresto fino al pagamento di una cauzione – dal valore di 5 milioni di euro. Secondo l’accusa, infatti, quel pesante ritocco sul bilancio sarebbe stato effettuato consapevolmente, “per rendere più appetibile l’impresa sul mercato“.
E ancora, il 25 giugno Wirecard ha presentato istanza di fallimento presso il tribunale di Monaco di Baviera, “a causa dell’insolvenza imminente e dell’indebitamento eccessivo”. Il titolo in Borsa è chiaramente crollato, tanto da passare in una sola settimana da 100 euro a meno di 2 per azione. E durante questo fiasco, con relativo scandalo finanziario, il direttore operativo Jan Marsalek, licenziato subito dopo lo scompiglio mediatico, ha fatto perdere le sue tracce: alcuni media riportano che potrebbe trovarsi nelle Filippine.
Il destino di Wirecard
La saga di Wirecard e le sue pesanti implicazioni stanno sollevando tanti dubbie e molte domande, con alcuni esperti americani che descrivono lo scandalo come “la Enron della Germania“. Ancora è incerto il destino della compagnia, dato che alla base c’è un’enorme mancanza di liquidità. In tal senso, anche lo stesso presidente del BaFin, Felix Hufeld, ha pubblicamente ammesso che l’intera vicenda ricopre di “vergogna” tutta la Germania, additando come responsabili – oltre che Wirecard – anche la Ernst&Young (perché “non è stata in grado di scoprire le verità”) e il BaFin stesso.
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Una vergogna che preoccupa non soltanto la Bundesrepublik, con il ministro tedesco delle Finanze e vicecancelliere Olaf Scholz che vuole ora “inasprire immedatiamente le regole”, ma anche il sistema Europa. La Commissione europea, infatti, si affiderà all’Esma, il supervisore europeo dei mercati finanziari, per indagare sulle negligenze del BaFin.
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In Germania, inoltre, si stanno già muovendo diverse class action e cause per risarcimento danni contro Ernst&Young e l’Autorità federale di vigilanza finanziaria. Maximilian Weiss, un avvocato dello studio legale TILP Litigation, ha spiegato alla CNBC che la situazione attuale è “soltanto l’inizio di uno dei più grandi scandali aziendali che abbiamo visto in Germania“. Si sottolinea, però, che lo scandalo Wirecard non è certo il primo a sconvolgere il mondo aziendale tedesco. Siemens era stata colpita da uno scandalo di corruzione alla fine degli anni 2000, mentre la reputazione di Volkswagen è stata significativamente danneggiata dal cosiddetto scandalo delle emissioni “Dieselgate” nel 2015.