Mondo di Mezzo, dopo 5 anni di carcere duro e i mesi passati ai domiciliari, l’imprenditore Salvatore Buzzi torna libero. A lungo etichettato come “Ras delle coop”, spiega: “Una storiella di corruzione, non era sistema da farci libri e fiction”
Salvatore Buzzi, ai domiciliari dallo scorso dicembre, ieri è tornato in libertà per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva. Ha spiegato i progetti per il futuro e ripercorso la vicenda che lo ha visto protagonista. “Mi piacerebbe aprire un ristorante. Lo chiamerei 416 bis, o ancora meglio: Mafia Capitale. Ormai è il mio brand- dice ironico in un’intervista a Il Messaggero -. Sto cercando un investitore danaroso”. Il ‘Mondo di mezzo’, appellativo noto alle cronache, non era altro che una organizzazione risibile, ben diversa da come è stata descritta. Lo dice apertamente. “Non era un sistema, eravamo una
banda di cazzari. In questi anni “sono stato sbattuto per 5 anni in Austria, perché il carcere di Tolmezzo è praticamente Austria, in regime di alta sicurezza, lontano dalla mia famiglia. Tutto per
un’accusa che non esisteva. Le mie cooperative sono fallite, chi
me le restituisce?”.
La Cassazione, per la sua vicenda “ha scolpito queste parole sul marmo: non c’è la mafia”. Si parla “di 65mila euro di tangenti su un fatturato di 180 milioni – ricorda -. Era una storiella di corruzione, al massimo, ma non da farci libri e fiction. Gli impiegati dell’ufficio condono che hanno arrestato l’altro giorno hanno preso più di me. Parnasi ha preso più di me. Ma poi a Roma fanno tutti così, serviva per lavorare, per farsi pagare”.
Tutta la vicenda “è stato un danno enorme per la città di Roma, e chi lo paga?”. Tutti “mi chiedevano di assumere amici, parenti, amanti. In Campidoglio tutti, dall’usciere al poliziotto di guardia. Ogni assunzione costa circa 40mila euro. Una cosa collaudata a Roma e nella zona. E poi io ho denunciato questo fenomeno corruttivo nel 2010 e nessuno mi ha ascoltato”.
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Secondo Buzzi “c’è stato tutto questo casino perché i pm che indagavano non erano romani, uno era veneto, altri tre siciliani, compreso Pignatone”. Un romano avrebbe capito che quello nelle
intercettazioni “era slang”. Le sue cooperative vincevano gli
appalti perché agivano nell’illegalità? “No – ribatte – eravamo semplicemente bravi. Ma bisogna ridimensionare la portata: avevamo nemmeno lo 0,5% di fatturato del Comune di Roma, e su questo hanno costruito un teorema”. Buzzi conclude citando Carminati: “Lo sentirò sicuramente. Non potremo vederci purtroppo, io ho l’obbligo di dimora a Roma, lui a Sacrofano”.
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