Durante la requisitoria processo al superlatitante, accusato di essere il mandante delle stragi di Palermo, il pm ricostruisce il rapporto tra Matteo Messina Denaro e Totò Riina.
Emblematiche le parole del pm Grabriele Paci, pronunciate davanti la Corte d’Assise di Caltanissetta in occasione della requisitoria nel processo a Matteo Messina Denaro. Un processo, questo, in cui si è tentato di ricostruire le vicende di Cosa Nostra negli anni che hanno preceduto le stragi, e per le quali lo stesso Matteo Messina Denaro è accusato di aver ordinato l’attentato di Capaci e Via D’Amelio.
Il rapporto tra Totò Riina e Matteo Messina Denaro
“Il maxi processo è l’emblema della reazione dello Stato alla mafia. Si infrange il muro dell’omertà e si condannano mafiosi importanti”, esordisce il pm Grabriele Paci, mentre parla davanti la Corte d’Assise di Caltanissetta. Del resto, “Totò Riina aveva sempre garantito il buon esito dei processi. Lui aveva i suoi canali per arrivare agli aggiustamenti di questi processi e reagisce in maniera feroce quando capisce che la situazione gli è sfuggita di mano”, e non riesce ad “accettare la sconfitta”.
Secondo quanto ricostruito dal pm, infatti, “la sua leadership rischiava di essere messa in discussione dopo tanti anni. Si trova improvvisamente in brache di tela e ben prima della sentenza della Cassazione emessa nel gennaio del ’92 è consapevole che non c’è nulla da fare”. E dunque, “il mancato aggiustamento del maxi processo diventa il momento in cui comincia la strategia per togliere di mezzo amici e nemici. Il fallimento dei tentativi di aggiustamento vengono imputati innanzitutto a Giovanni Falcone“.
Durante la ricostruzione, però, Paci ha parlato anche del rapporto che sussisteva con l’accusato superlatitante e il capo dei capi di Cosa nostra, Toto Riina. “Nel pieno del processo sulla Trattativa Totò Riina è inferocito. Si lamenta di Matteo Messina Denaro, che definisce un ‘ragazzino che si è messo a prendere soldi, si interessa di sé stesso e non delle questioni. ‘Se ci fosse suo padre, che era un bravo cristiano che mi dava a suo figlio per farne quello che dovevo fare…'”, ha spiegato il pm davanti la Corte d’Assise.
LEGGI ANCHE: Consulta: libertà di stampa essenziale ma dai social i maggiori rischi
LEGGI ANCHE: Nuovi scontri a Mondragone, De Luca: “Con 100 casi di Covid chiudo la città”
E ha poi proseguito: “Brusca fornisce una indicazione fondamentale, siamo alla fine del ’92. Riina gli fa una confidenza e gli dice ‘guarda che se mi succede qualcosa i picciotti, Giuseppe Graviano e Matteo, sanno tutto'”. Sottolineando, più volte, come Totò Riina parlasse di Messina Denaro come “la luce dei suoi occhi“: “Il padre lo aveva messo nelle sue mani, ‘E io l’ho fatto buono‘, diceva Riina, ricordando questo mafioso che gli era cresciuto sulle ginocchia“.