Era inevitabile che accadesse: la revisione dei coefficienti a partire dal 1° gennaio 2021, il drastico calo del Pil, i periodi di inoccupazione, porteranno a cali medi della pensione futura.
L’impatto della pandemia nel corso di quest’anno non poteva non avere conseguenze anche sul nostro sistema previdenziale. In particolare su quello pubblico.
Abbiamo una spesa pensionistica destinata a crescere verso una quota del Pil molto superiore all’attuale 16%; ed un debito pubblico anch’esso destinato a crescere, più del 140% del Pil, i sistemi pensionistici – nel dettaglio quelli finanziati tramite il metodo della ripartizione (dove i contributi versati dai lavoratori in attività di servizio vengono utilizzati per pagare le pensioni) – saranno sicuramente soggetti a forti pressione. Risulterà dunque difficile mantenere le disposizioni che ci dovrebbero portare verso un pensionamento anticipato. Dovrà essere costante e continuo il monitoraggio dell’equilibrio finanziario a lungo termine; pena la stabilità del sistema. Questo in termini generali.
Ci saranno sicuramente delle conseguenze, per quanto riguarda le variazioni sulle prestazioni che i lavoratori percepiranno al loro pensionamento, alcune connesse al Coronavirus, altre già previste dalle precedenti disposizioni emanate. Le più importanti sembrano queste: la revisione dei coefficienti introdotti a partire dal 1° gennaio 2021 per l’applicazione del metodo contributivo stabilito dall’Inps, il drastico calo del Pil che con ogni probabilità verificheremo quest’anno, eventuali periodi di inoccupazione che potrebbero colpire alcuni lavoratori.
Quanto effettivamente incideranno questi eventi sulla copertura pensionistica finale? E quale dei tre eventi contribuirà ad avere gli effetti più rilevanti? Abbiamo provato ad elaborare alcune proiezioni, prendendo in considerazione quattro lavorati con al 1° gennaio 2020 in alternativa 30, 40, 50 e 60 anni di età.
Abbiamo ipotizzato per tutti un’età di prima iscrizione all’Inps di 25 anni, ed una retribuzione annua lorda di 15.000 euro in valore reale di oggi. Il tutto stimato ad un pensionamento all’età di 67 anni, con un’ultima retribuzione annua lorda, prima del pensionamento, di 30.000 euro.
È stata anche ipotizzata una crescita retributiva costante nel tempo, con una stima alle prestazioni finali nell’ambito dei diversi scenari previsti. Inizialmente la pensione finale, è stata calcolata senza prendere in considerazione gli eventi del 2020. Appare evidente come, a seconda delle età, la pensione finale annua lorda risulti variabile da 20.305 a 23.264 euro.
Tutto è stato poi riproiettato, ipotizzando prima l’introduzione dei nuovi coefficienti di conversione. Poi l’impatto della riduzione del Pil, pronosticando per quest’anno un calo del 10% ed una futura crescita dell’1% all’anno. Per concludere, è stato anche determinato il possibile effetto di un’inoccupazione di sei mesi. Secondo i risultati ottenuti, l’effetto più rilevanti sulla prestazione finale appare determinato dalla riduzione del Pil. Questa riduzione, comporta in media per i quattro lavoratori presi come riferimento, una prestazione più contenuta di circa il 4%. Il mancato versamento dei contributi – che in determinati casi potrebbe comportare uno slittamento del momento del pensionamento – produce un taglio medio di circa l’1%. Mentre invece la revisione dei coefficienti comporta una penalizzazione dello 0,50%
L’effetto complessivo di tutti e tre gli eventi porta a una riduzione totale media di circa il 5,5 per cento. Il sistema previdenziale italiano, si troverà dunque, nel corso dei prossimi anni, a dover amministrare con molta attenzione le risorse disponibili. Un sistema dove la previdenza complementare sarà sempre più portata ad avere un ruolo fondamentale, anche se il Covid-19 ha manifestato anche alcune forti criticità per i fondi pensione.
Questa pandemia ci ha insegnato che, in diversi settori la diversificazione del rischio risulta essere cruciale. Quello previdenziale è sicuro tra questi. È meglio infatti ricevere la pensione da più fonti, che da una sola.
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