La donna stava andando al supermercato con i suoi bambini. La piccola era nel passeggino, l’altro bambino, di soli cinque anni, sulla sua biciclettina. Il padre Noureddine ha potuto solo guardare inorridito la scena ed abbracciare l’unico figlio sopravvissuto.
Quaranta minuti esatti di soccorsi, un’infinita agonia. Quel corpicino bianco estratto, lo strazio di una famiglia distrutta. Fauzia, la mamma, stava andando a fare la spesa, la bambina nel passeggino ed il figlio di cinque anni, Soulaymane in bicicletta davanti a lei. Sull’altro lato della strada l’altro figlio, che la madre inseguiva con mille raccomandazioni sul fare attenzione alle macchine.
Quella strada fatta mille volte
Quante volte avevano percorso quel tratto? Mille e mille volte ancora. Andando e tornando verso la casa di via Carso, a soli quattro minuti di distanza. «Siamo più lombardi di voi, si lavora dal mattino alla sera e si sta dietro ai piccoli, camminando e facendoli giocare. Fauzia avrebbe voluto lavorare, certo, ma con tre figli come si fa? Non hanno parenti, pure volendo non c’erano i soldi per la baby sitter, e comunque non è nostra abitudine affidarli agli sconosciuti, è una mancanza di rispetto», il commento di un amico di famiglia, mentre culla un neonato. A differenza di altre comunità di connazionali, per esempio quelle milanesi in maggioranza provenienti da zone rurali, qui in provincia di Varese, nel solco di un’immigrazione iniziata negli anni Settanta i marocchini sono nati nelle grandi città imperiali, come rivendicano con orgoglio: da Casablanca, ed è questo il caso di Albizzate, fino a Fez.
Stanno un po’ defilati rispetto ai pompieri e ai carabinieri. Distanti dai compaesani italiani. Sono quasi nascosti, per non condividere il loro dolore. Sostano a ridosso di aiuole, le donne sedute e gli uomini in piedi. Questi ultimi parlano del marito, «che adesso è come se fosse ugualmente morto», mentre le prime sono al cellulare, per avvisare i conoscenti per potersi consolare a vicenda.
Il marito «che adesso è come se fosse ugualmente morto»
Lui, Noureddine Hannach, il capo famiglia, ha d’essere uomo taciturno, serio e lavoratore, che non ha nemmeno il tempo per inseguire deviazioni di percorso. Fa il meccanico in un’officina di Caronno Varesino, non lontano, e ripara camion. Arrivò in Italia, sei anni fa (i bimbi sono venuti alla luce nell’ospedale di Gallarate), all’epoca non s’intendeva né di carrozzerie né motori. Lui si impegnò, imparò e superò anche i colleghi con più esperienza di lui perché serviva il denaro. Al momento del crollo era poco distante, stava andando incontro alla moglie e ai bambini. L’ambulanza l’ha soccorso in profondo stato di choc; le poche frasi che ha sibilato, col respiro corto, vertevano tutte sul rimpianto di non aver potuto far nulla, se non abbracciare l’unico figlio sopravvissuto.
«Quando li ho visti mi sono sdraiato per terra, ho visto un macello, cosa potevo fare», ha raccontato giovedì mattina Noureddine, stravolto dopo una notte insonne. «Cosa volete che vi dica, sto male, perdere una moglie e due figli è stato un colpo, sarà difficile». E si fa coraggio soltanto pensando al figlio maggiore, di 9 anni, un ragazzino forte: «È a casa di una amica; dice di star bene. Ha visto tutto, speriamo…». Nei mesi della pandemia, moglie e marito avevano iniziato a discutere dell’eventualità di tornare a Casablanca. Se hanno desistito, come del resto ognuno dei marocchini presenti, adesso decisi a rimanere a oltranza, fino all’alba se necessario, pur di porgere le condoglianze in via Carso, non è stato tanto per sradicare i bimbi quanto perché i soldi messi da parte non avrebbero garantito un’esistenza diversa.
«Era un macello, quando sono arrivato ho visto questo macello…»
Dopo l’ospedale, l’uomo ha fatto un passaggio veloce in caserma dai carabinieri. Un colloquio brevissimo, cinque minuti, non c’era molto da dire e gli investigatori avevano ben poco da chiedere. In nottata è tornato poi all’abitazione, dopo aver affidato il figlio ad un’amica. In queste ultime ore sta ricevendo, senza sosta, le condoglianze di amici e parenti che passano a trovarlo. Un uomo distrutto dal dolore che ripete come un disco rotto, sempre le stesse parole, anche ai giornalisti: «Era un macello, quando sono arrivato ho visto questo macello… Se fossi arrivato prima, sarei stato con loro, e forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse se c’ero anche io avrei potuto aiutarli». La Procura di Busto Arsizio indaga per disastro colposo e omicidio colposo plurimo.