La Ue pronta a bloccare chi proviene dagli Stati Uniti: «Ancora troppi contagi». Intanto Donald Trump ferma gli ingressi dei lavoratori, anche italiani: stop anche a stage e a scambi di studenti.
Il coronavirus fa ancora molta paura, anche perchè la situazione è emergenziale in molti paesi del mondo. Il New York Times ha rivelato che l’Unione Europea sta mettendo a punto la lista dei Paesi con cui riaprire le frontiere dal primo luglio. Nella bozza che sarebbe stata attualmente stilata viene proibito l’accesso ai viaggiatori provenienti da Stati Uniti, Russia e Brasile. Se confermato, lo stop all’ingresso degli americani sarebbe clamoroso. A Bruxelles interessa soprattutto la curva dei contagi. E in venti Stati americani – tra cui Texas, California e Florida – l’epidemia si sta espandendo. E quindi la possibilità di chiudere le frontiere è possibile. Cosa che è già stata fatta dagli Stati Uniti, che hanno bloccato i confini fino al 31 dicembre prossimo. Donald Trump ha infatti chiuso le frontiere per circa 525 mila persone in cerca di occupazione. Bloccati anche gli stage, gli scambi di studenti, i ragazzi e le ragazze alla pari. Nel 2019 per motivi di studio, di ricerca e anche di lavoro circa 300 mila giovani provenienti da 200 Paesi si erano recati negli Usa: tra questi anche diverse migliaia di italiani.
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Un “botta e risposta” che ovviamente sarà oggetto di trattativa: anche perchè l’Italia rischia di subire notevoli danni da questa situazione. Il blocco europeo ad esempio cancellerebbe il turismo americano: circa cinque milioni di presenze in meno in un anno. E la decisione del governo americano avrebbe un impatto pesante per il nostro Paese, come spiega l’ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio: «In particolare ci preoccupa il divieto per le aziende di trasferire personale negli Stati Uniti. Ho sollevato questo tema al ministero del Tesoro e mi sono fatto portavoce delle tantissime società italiane che vogliono crescere e sviluppare la propria attività negli Usa. E poi, naturalmente, stiamo esaminando le conseguenze sugli scambi culturali, sulle opportunità per i nostri studenti e così via». In realtà la decisione di Trump guarda più alla politica interna che a quella estera: il presidente sta cercando di recuperare terreno nei sondaggi. L’impatto del virus sull’occupazione è uno spunto per riproporre la linea intransigente sull’immigrazione, uno dei temi vincenti nel 2016. La Casa Bianca è andata quindi avanti con il piano, ignorando le lamentale delle multinazionali e delle lobby industriali più aperte al mercato internazionale. E quindi stop a diverse categorie di “immigrati”: quella più contestata è la H-1B che comprende i lavoratori specializzati. Nel gruppo ci sono esperti di tecnologia, ingegneri, matematici: la riserva internazionale cui attingono le multinazionali della Silicon Valley. Oppure scienziati, medici o ancora esperti di finanza, architetti e altre figure professionali. Normalmente sono le stesse aziende americane che offrono un impiego, «sponsorizzando» i nuovi assunti. Tantissimi italiani sono arrivati così negli Stati Uniti, scalando con il tempo posizioni importanti negli istituti di ricerca, nelle università, negli ospedali, nelle aziende. La categoria H-2B, invece, è quella dei lavoratori stagionali, qualunque sia il loro grado di istruzione. Ogni anno ne arrivano circa 66 mila. Saranno esentati i circa 250 mila braccianti per la raccolta dei pomodori e della frutta. Il visto J è quello riservato agli studenti, agli insegnanti, ai consulenti, agli stagisti, ai lavori estivi. Infine la fascia L, che permette alle aziende estere di trasferire per un certo periodo manager e dipendenti nelle filiali americane. Da qui a dicembre non verranno concesse le green card. Resta da capire a che cosa serviranno queste misure a fronte di 21 milioni di disoccupati che si concentrano soprattutto nei settori del terziario come turismo, viaggi, ristorazione, cura della persona. Ma i problemi collegati alla pandemia rimangono tanti. Ieri il virologo Anthony Fauci ha confermato che «il razzismo ha pesato sul numero dei morti registrati tra gli afroamericani». Le discriminazioni – oggetto della protesta di centinaia di migliaia di persone – hanno contribuito a peggiorare le loro condizioni di salute rendendoli più vulnerabili al Covid-19.
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