Oggi 23 giugno ricorre l’anniversario della morte del giudice Mario Amato. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella coglie l’occasione per estendere a tutti il suo appello: “Rievocare la sua vile uccisione richiama la necessità per tutti di resistere agli attacchi contro lo Stato democratico, che oggi assumono la forma delle logiche compromissorie e dell’indifferenza”.
Oggi ricorre l’anniversario della morte del giudice Mario Amato, commemorato anche dalle parole del presidente della Repubblica Mattarella, che in un messaggio scrive: “Il 23 giugno del 1980, mentre si stava recando al lavoro in autobus, il giudice Mario Amato veniva ucciso in uno spietato agguato rivendicato da un’organizzazione della destra eversiva“. Da qui, l’appello a tutta la comunità: “Rievocare la sua vile uccisione richiama la necessità per tutti di resistere agli attacchi contro lo Stato democratico, che oggi assumono la forma, meno violenta ma ugualmente letale, delle logiche compromissorie e dell’indifferenza“. Come ricordato da Mattarella, infatti, Amato fu assassinato a 43 anni per bloccare le indagini a suo nome sul terrorismo neofascista.
Grazie al suo impegno e “alla sua innovativa modalità investigativa” Amato era riuscito a ricostruire un ampio e organico quadro sul terrorismo neofascista. Un alacre lavoro investigativo che ha spaventato anche i diretti interessati, terroristi neofascisti che, pur di bloccarne il lavoro, hanno optato per la sua morte. Infatti Mattarella sottolinea: “È stata proprio l’attività d’indagine da lui condotta in solitudine, con valore e sobrietà, ad esporlo al bersaglio dei terroristi, che in Mario Amato riconoscevano un reale ostacolo alla realizzazione del loro disegno eversivo”. Proprio per questo, e anche per lanciare un appello universale, “a distanza di quaranta anni, desidero rinnovare i sentimenti di partecipazione e vicinanza del Paese ai suoi familiari, ai colleghi e agli amici che l’hanno conosciuto e stimato e che ne hanno costantemente tenuto viva la memoria”.
Mario Amato è stato ucciso a Roma, alle 8 del mattino mentre era in attesa dell’autobus che lo avrebbe condotto a lavoro. Un colpo di rivoltella alla nuca, in data 23 giugno 1980. L’autore dell’omicidio è Gilberto Cavallini, estremista neofascista. Complice anche Luigi Ciavardini, conducente della moto che ha accompagnato Cavallini portare a termine l’omicidio. Sul colore politico dell’assassinio non ci sono dubbi, e neanche sul movente: Cavallini era membro dei Nuclei armati rivoluzionari, un’organizzazione di estrema destra risalente al 1977. Erano gli anni ’80 e gli spargimenti di sangue imperversavano sul territorio nazionale. Lo stesso Amato, tre mesi prima di morire, aveva sottolineato le carenze in materia di sicurezza personale riservate ai giudici. Il clima era chiaro, la magistratura era entrata nel mirino delle forze estremiste di destra e di sinistra. Il 12 febbraio era stata la volta di Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, ucciso dalle Brigate rosse. Poi Nicola Giacumbi, procuratore capo della Repubblica di Salerno, Girolomo Minervini direttore degli Istituti di prevenzione e pena e Guido Galli, assassinato all’Università Statale di Milano. Per mano dei Nar si registrano altrettanti omicidi, altrettanti atti criminali: tra rapine e traffico di armi, uccidono a Roma gli agenti di polizia Maurizio Arnesano (il 6 febbraio) e Franco Evangelista. Quando tocca a Mario Amato, sono già 11 i giudici assassinati per terrorismo.
Amato è stato l’unico giudice coinvolto nelle indagini per terrorismo di destra in tutto il Lazio. Nelle sue mani prese forma l’inchiesta della procura della Repubblica di Rieti sul Movimento per l’Ordine nuovo legato alle attività di Paolo Signorelli. Oltre alla solitudine “professionale”, l’esposizione di Amato era cresciuta anche a causa delle calunnie e speculazioni politiche del tempo, volte a screditarne l’operato. Poi le minacce, e la messa a disposizione di un solo funzionario di polizia. Così Amato, che più volte aveva lanciato l’allerta nei confronti della violenza e pericolosità del terrorismo neofascista, muore sotto i colpi di ciò che stava combattendo. La sua è stata una morte strategica, per intralciare le indagini sui Nar e ottenere il controllo sugli altri gruppi di estrema destra. Amato è morto in quanto “giudice più odiato dalla destra eversiva”, come affermato da Fioravanti, finito all’ergastolo per l’omicidio.
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