Delitto di Garlasco, i legali chiedono un nuovo processo

I legali di Alberto Stasi hanno richiesto un nuovo processo. Il giovane è stato condannato a 16 anni per aver ucciso la fidanzata, Chiara Poggi

Alberto Stasi

Questa mattina il collegio difensivo di Alberto Stasi ha depositato una revisione del processo per l’omicidio di Garlasco. Il giovane è stato condannato a 16 anni di reclusione per aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto 2007. La conferma arriva dal legale di Stasi, Laura Panciroli. “Senza entrare nel merito dei contenuti dell’istanza, abbiamo scelto nuovi argomenti che non sono stati ancora valutati prima che sarebbero decisivi e seri”.  Sempre secondo la Panciroli, ci sono degli scenari che si sono presentati nel corso del tempo e che non sono mai stati presi in considerazione. Per l’accettazione della richiesta, dovranno attendere la Corte d’Appello di Brescia.

Stasi dall’epoca dei fatti si è sempre considerato innocente e molti hanno ritenuto che la verità doveva essere cercata altrove. La Cassazione ribadisce che il caso non verrà riaperto, ma se ciò avvenisse, si ritornerebbe a parlare di uno dei casi più discussi nonostante si tratti di 13 anni fa. Il presidente della Corte d’appello di Brescia, Claudio Castelli, ha dichiarato: “I tempi possono essere abbastanza rapidi. Entro fine luglio potremmo già decidere sull’ammissibilità dell’istanza”.

Il caso Garlasco

Il 13 agosto 2007 fu trovata morta nella propria abitazione a Garlasco (Pavia), Chiara Poggi di 26 anni. La ragazza fu assassinata con colpi di martello e quella sera si trovava sola in casa. Il fidanzato, Alberto Stasi, lanciò l’allarme ma sin da subito le indagini si concentrarono su di lui che era rimasto con lei fino alla sera prima dell’omicidio. Nel corso degli anni ci furono colpi di scena, arresti e scarcerazioni ma il 12 dicembre 2015, la Cassazione confermò la sentenza bis della Corte d’Appello di Milano e condannò Stasi a 16 anni. Nel carcere si laurea in economia e lavora come centralinista per un progetto di recupero dei detenuti. Nel 2017 viene fatto ricorso sostenendo che i giudici dovevano riascoltare i testimoni sentiti come fonti di prova.

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