In Italia il virus è a freno, nonostante i focolai. Ma in altri paesi imperversa: per il professor Locatelli – del Cts – bisogna fare molta attenzione.
In Italia ed in Europa il coronavirus è – più o meno – sotto controllo. I focolai che ogni tanto esplodono indicano come sia possibile la ripartenza dei contagi, ma in linea di massima la situazione è gestita. Il problema è a livello internazionale: in alcuni paesi sopratutto il livello di intensità del virus è altissimo, ed è necessaria la massima attenzione: la situazione potrebbe nuovamente precipitare. A spiegarlo è il professo Franco Locatelli, membro del Comitato Tecnico Scientifico nominato in Italia per coordinare l’emergenza coronavirus. «In Europa nel complesso c’è sicuramente una netta e assai incoraggiante flessione dei contagi ma continuano a osservarsi episodi, più o meno rilevanti, che documentano come il virus circoli e possa creare improvvise riaccensioni epidemiche» spiega Locatelli. «In Italia è accaduto a Roma e, proprio in questi giorni, in Calabria. Ma è soprattutto quanto sta avvenendo nel più grande mattatoio della Germania, circa 1300 contagi, che fa comprendere quanto sia pericoloso distrarsi. Le autorità tedesche hanno avviato una riflessione su come gestire questo focolaio». Se in Europa la situazione è delicata ma relativamente sotto controllo, nel resto del mondo è un’altra storia: «Brasile e India sono nel pieno della pandemia, in questi Paesi la diffusione del contagio è altissima, con un elevato numero di morti determinando una situazione marcatamente più seria di quella europea. Ma questo non deve indurre tutti noi a credere di essere fuori pericolo. Viviamo in un mondo globale e queste realtà epidemiche, apparentemente lontane, non possono non attirare la nostra attenzione non soltanto per il doloroso numero delle vittime ma anche nella prospettiva di un nuovo innesco di contagi nel nostro Paese» aggiunge il professor Locatelli, ponendo l’accento sui rischi.
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Il fatto che la pandemia sia ancora ai massimi livelli in giro per il mondo è un elemento di pericolo e preoccupazione che deve allarmare. Questo è il messaggio che deve arrivare forte e chiaro:
«Proprio così. L’Italia è attualmente messa bene a parte alcuni focolai locali che comunque andavano messi in conto perché fanno parte della storia di un’epidemia. Quanto succede fuori deve però costituire un chiaro segnale di allarme. L’attenzione non deve essere alta, di più. Deve mantenersi altissima» ammonisce Locatelli. «Ci vuole poco a riaccendere la miccia del virus. Non dimentichiamo come tutto è cominciato. Noi a fine gennaio ci occupavamo della coppia cinese giunta in Italia e ricoverata allo Spallanzani e in Lombardia il Sars-CoV-2 già circolava. Il Paese non è blindato. La gente si muove da un continente all’altro ed è impossibile controllare tutti». Il messaggio da diffondere è quindi chiaro: «Non perdiamo di vista la situazione globale. E i focolai, anche quelli che compaiono di tanto in tanto in Italia, devono ricordarci che non siamo usciti dal tunnel. Che il coronavirus è ancora un problema e lo sarà per diversi mesi. Dunque tutto ciò che assume la forma di assembramento va evitato». E’ quindi folle mettere a rischio quel poco di sicurezza che abbiamo costruito in nome di comportamenti rischiosi ed avventati: «L’Italia ha fatto uno sforzo enorme e ha ottenuto risultati straordinari. Non vanifichiamoli con comportamenti poco responsabili, tipo la movida, che potrebbero compromettere il lavoro e i sacrifici compiuti e farci ricadere in un incubo appena vissuto. Dobbiamo onorare la memoria di 34 mila vittime, i nostri morti, non vanno dimenticati. La voglia di tornare alla normalità è impellente lo so. Però siamo prudenti fino a quando arriverà il vaccino» aggiunge Locatelli, che su una eventuale seconda ondata sembra avere comunque le idee chiare: «È una possibilità ma non sappiamo di quale entità. Se anche arrivasse non credo avrebbe le dimensioni della prima, anzi sarebbe altamente improbabile vivere un’esperienza paragonabile a quella di febbraio-aprile. E questo per diversi motivi: la maggiore capacità di intercettare i positivi, l’organizzazione degli ospedali, le norme di comportamento, la disponibilità di mascherine. Più di questo contro un virus respiratorio non si può fare». In attesa – ovviamente – del vaccino, che resta l’unica certezza di sconfiggere definitivamente questo maledetto virus.