Amazon, Google e Twitter criticano la decisione dell’amministrazione Trump di limitare l’immigrazione, inclusi i paletti ai visti H-1B.
Un complotto? Una congiura? La realtà 2.0 si scontra con l’amministrazione Trump. L’oggetto del contendere è il piano immigrazione, ma le motivazioni vanno ben oltre. Non è un mistero che il Presidente abbia minacciato più volte la limitazione del cyberspazio e questo, certamente, fa paura. Il tema della libertà di espressione si aggroviglia con quello della possibilità di sognare un futuro migliore. Amazon, Google e Twitter sono compatti: “Ci opponiamo alla decisione miope dell’amministrazione. Prevenire gli ingressi di lavoratori altamente specializzati nel paese mette a rischio la competitività americana”, afferma Amazon. “L’immigrazione ha contribuito immensamente al successo economico dell’America e a Google. Delusi dalla decisione
continuiamo a stare a fianco degli immigrati”, rincara la dose
l’amministratore delegato di Google, Sundar Pichai.
La decisione “mina uno dei maggiori asset economici
dell’America: la sua diversità”, mette in evidenza Twitter,
definendo la decisione dell’amministrazione “miope e
profondamente dannosa per la forza economica degli Stati Uniti”. A quanto pare il tycon di nemici se ne è fatti proprio parecchi.
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Il CEO di Airbnb, Rian Chesky, non ha semplicemente condannato la scelta di Trump, ma si è spinto oltre, offrendo alloggio gratuito ai rifugiati non ammessi negli Stati Uniti. Travis Kalanick, CEO di Uber e neo-consigliere di Trump, non si è tirato indietro: «Questo divieto avrà un impatto su molte persone innocenti, e solleverò il problema venerdì prossimo a Washington, durante la prima riunione del gruppo di attività di consulenza del Presidente Trump». Gruppo del quale fa parte anche Elon Musk, CEO di Tesla, il quale si è schierato (anche lui) contro la decreto anti-immigrati: «Molte delle persone – ha twittato Musk –negativamente colpite da questa politica sono forti sostenitori degli Stati Uniti». L’America di oggi con le sue politiche filorazziste spaventa molti. Anche l’AD di Google, Sundar Pichai, anche lui immigrato (è nato in India), ha espresso la sua preoccupazione in una nota riportata da Bloomberg. Il futuro appare improvvisamente incerto, condizionato dagli umori di un leader che sta scivolando nel baratro e lotta con le unghie e con i denti per rimanere a galla.