L’ex socialista: “Cossiga fu informato del ritrovamento del corpo di Moro mentre io mi trovavo nel suo studio”. Al tempo del rapimento dell’ex segretario della Dc, Signorile era vicesegretario del Psi.
Claudio Signorile più volte si trovò a confrontarsi con esponenti politici per trovare una soluzione che riuscisse a salvare la vita al presidente della Dc. Come sottolinea nella sua lunga intervista al Corriere, non ci fu niente da fare. Signorile era convinto nei giorni precedenti al rapimento Fanfani ed altri esponenti della Dc a fare un passo. “Quella che avevamo concordato non sarebbe stata una posizione isolata di Fanfani. Altri, come Donat Cattin, Bisaglia, Emo Danesi mi avevano garantito che avrebbero sostenuto quella linea. Ciò avrebbe prodotto una modifica degli orientamenti precedenti e avrebbe messo le Br in una condizione di difficoltà. E insieme un segno di attenzione per quello che stavano facendo i socialisti. Sarebbe stata una riunione importante, molto importante”.
Signorile parla poi degli ultimi giorni del rapimento, dei dubbi relativi a Piperno e dei rapporti fra il sistema dei Servizi e la realtà del brigatismo. Si apre così una riflessione sull’estremismo italiano di quegli anni: da una parte il braccio armato delle Brigate Rosse e dall’altra le formazioni politiche capeggiate dal movimento operaio. Tra questi due sistemi avvenne una rottura cruciale proprio prima del rapimento di Moro. “ Potere operaio aveva una visione, un obiettivo politico, eversivo ma politico, mentre il braccio armato, le Br, coloro che scelsero la lotta armata, avevano bisogno di un alleato che si sentisse in condizioni di dare loro armi e denaro”.
In quegli anni l’Italia era nel mezzo ad un insieme di servizi che si influenzavano e controllavano a vicenda, ma era anch’essa un sistema. Lo Stato era importante per la sua collocazione nel mediterraneo, per il suo essere un Paese Nato e per la presenza di un partito comunista al trenta per cento al suo interno.
Ci sono due elementi fondamentali che vanno presi in considerazione per risalire al rapimento dell’ex segretario della Dc; innanzitutto sottolinea Signorile, “i brigatisti che fisicamente compiono l’operazione con una tecnica sia politica che militare e le forze internazionali che volevano assicurare una sicurezza nell’evoluzione di quel passaggio storico”.
Da quel momento l’ex socialista si è accorto di un cambio di rotta, che avrebbe poi portato all’assassinio del presidente. “Vado avanti” dice Signorile convincendo Fanfani ad andare avanti pensando di avere a che fare con un soggetto politico. La Dc stava facendo un gesto illustrativo, richiesto dalle Br, cioè quello di delegittimare Moro che anche se politicamente influente.
“In quelle ore pensavo che una posizione della Dc, dopo la telefonata di Moretti a casa Moro, non poteva essere ignorata. Ritengo di essere stato intercettato quando chiamai Craxi dal telefonino della macchina per raccontargli dell’incontro con Fanfani”, sostiene l’ex socialista.
Forse è stato proprio il cambiamento della Dc a portare all’uccisione di Aldo Moro, “dopodiché qualcuno ha sparato” aggiunge Signorile.
Alla richiesta di parlare di Andreotti e di Cossiga, Signorile definisce il primo “garante dello status quo”, mentre il secondo “garante del divenire”.
Andando con ordine: Andreotti rappresenta una figura fumosa, defilata, e soprattutto propensa allo stallo, in quelle date circostanze è Primo Ministro ma non ha la maggioranza parlamentare per accedere al Parlamento, nel caso Moro “non fa niente” per creare le condizioni del suo rilascio, né tanto meno “le ostacola”. Cossiga invece viene descritto intento a costruire “il suo futuro politico”, legato ai servizi segreti italiani (e a tutte le vicende che vedono molti vertici dello Stato immischiati nella P2) ma comunque pur sempre tormentato da “un demone che non lo ha mai lasciato”, quello dell’omicidio del suo “maestro” Moro. C’è poi un curioso fatto che viene raccontato da Signorile, con protagonista Cossiga, ormai Presidente della Repubblica. Ad una proposta del primo, “bisogna guardare i santuari, perché esistono”, riferita al 1978, segue una telefonata il giorno seguente, dove il secondo, probabilmente sentitosi attaccato, bolla come falsità quanto detto. Signorile replica di non voler attaccare la figura di Cossiga per fatti antecedenti, conscio anche del fatto di possibili intercettazioni in mano al presidente.
C’è però un evento che turba particolarmente Signorile: Cossiga lo chiama la mattina dell’assassinio, poco prima che venga trovato Moro, “perché lo fa?” si chiede Signorile: “Ho pensato che volesse commentare ciò che stava per accadere nella Dc quella mattina”, ma così non fu. “Forse lui ha la notizia che l’hanno liberato o lo stanno liberando” pensa. Ma tutto, agli occhi di Signorile, fa preagire che Cossiga lo volesse lì, di persona, quando si fosse appreso del ritrovamento di Via Caetani. “Nel suo ufficio c’era una cicalina collegata con il Prefetto e il capo della Polizia”, continua Signorile, da essa apprendono che è stata individuata un’automobile. Dopo un breve silenzio, ”È la nota personalità” viene comunicato ai due. Cossiga sbianca e dice di volersi dimettere. “Ci abbracciamo, me ne vado. Perché mi ha fatto andare lì quella mattina? Me lo chiedo ancora oggi” conclude Signorile. Alla richiesta di una spiegazione plausibile, Signorile ammette di aver pensato che “lui, consapevole che la vicenda si stava concludendo, volesse un testimone inattaccabile in grado di dare conto della sua sorpresa e del suo sgomento. Devo pensare questo. Non ne ho mai parlato, non ho mai aperto polemiche su questo. Ma Cossiga, in quel tempo, guardava oltre”.
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