Palamara: “L’Anm mi deve ascoltare”. Durissimo intervento di Mattarella

L’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati – al centro di un inchiesta per corruzione – chiede al direttivo centrale dell’Associazione di essere ascoltato. Su tema, durissimo intervento di Mattarella.

Luca Palamara

Una richiesta forte, dopo essere stato per mesi al centro di polemiche, illazioni e sopratutto di una delicata inchiesta per corruzione: “Chiedo di essere sentito per chiarire i fatti contestati ritengo di dover parlare a tutti e mi pare giusto farlo”. Così l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara spiega le ragioni per le quali ha chiesto di essere ascoltato dal comitato direttivo centrale dell’Anm, che sabato prossimo si dovrà pronunciare sulla sua espulsione dal sindacato delle toghe. L’espulsione era stata chiesta dai probiviri per le note vicende emerse con l’inchiesta di Perugia a carico del magistrato per corruzione. Al centro dell’attenzione dell’Anm c’è in particolare la vicenda della conversazione intercettata dell’hotel Champagne, in cui Palamara, alcuni consiglieri del Csm allora in carica e due politici, Luca Lotti e Cosimo Ferri, discutevano delle nomine ai vertici delle procure delle strategie per spingere alcuni candidati a svantaggio di altri. Anche per gli ex consiglieri coinvolti nella vicenda si prospettava il rischio dell’espulsione. Ma la maggior parte di loro ha intanto presentato le dimissioni dell’Anm. Lo hanno fatto gli ex togati Antonio Lepre ,Gianluigi Morlini, Paolo Criscuoli e Luigi Spina, non invece Corrado Cartoni. Per Cosimo Ferri, che è magistrato in aspettativa, è stato chiesto invece il non luogo a procedere perché non avrebbe più la qualità di socio dell’Anm, visto che ha documentato di non aver più versato le quote associative da quando è stato eletto alla Camera. Se Palamara venisse effettivamente espulso dall’Anm, sarebbe la prima volta che una sanzione così drastica si applica a un ex presidente del sindacato delle toghe.

Le richieste di Palamara sono state forse sollecitate dal durissimo intervento a riguardo del Presidente della Repubblica Mattarella, che si è espresso in modo molto netto a riguardo. Per il capo dello Stato le inchieste della procura di Perugia sul “caso Palamara” hanno trasmesso l’immagine di una magistratura china su stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi”. Alcuni magistrati – una minoranza, ha specificato il Presidnete – hanno svelato una “modestia etica” tale da far crollare la fiducia dei cittadini nell’intero mondo della Giustizia. E’ quindi l’ora di riformare severamente il Consiglio Superiore della Magistratura, di tornare al principio fondamentale di fedeltà alla Costituzione, di trovare uno scatto di reni per far recuperare “credibilità” alla magistratura che rischia, in questa sua caduta d’immagine, la sua autonomia e indipendenza. Questo in sintesi il durissimo “j’accuse” del presidente della Repubblica che non fa sconti alle toghe e, forte del suo doppio ruolo di capo dello Stato e presidente del Csm, in un complesso discorso dal Quirinale parla espressamente di “anno difficile” per il mondo della Giustizia. Le conversazioni intercettate – e pubblicate – che hanno messo a nudo distorsioni, brame di potere e ferocissime lotte intestine al Csm, hanno turbato nel profondo Sergio Mattarella che ha voluto indicare le differenze che separano il
“correntismo” che infesta l’organo di autogoverno dei magistrati
dall’etica e l’attaccamento al dovere che ha pervaso alcuni
“servitori dello Stato” uccisi negli anni ’80 dal terrorismo e
dalla mafia. Commemorando gli anniversari dell’uccisione dei
magistrati Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli,
Mario Amato, Gaetano Costa e Rosario Livatino, il presidente ha
inviato un monito alle toghe di oggi: La fedeltà alla
Costituzione è l’unica fedeltà richiesta ai servitori dello
Stato. L’unica fedeltà alla quale attenersi e sentirsi
vincolati”. Un messaggio che parrebbe scontato ma che invece è
necessario inviare per Mattarella, visto che l’inchiesta di
Perugia “fornisce la percezione della vastità del fenomeno e fa
intravedere un’ampia diffusione della grave distorsione
sviluppatasi”. Sulla stessa lunghezza d’onda del Presidente Mattarella si è espresso il ministro Alfonso Bonafede che ha in mano anche la spinosa riforma della Giustizia: “Ogni intervento riformatore che stiamo per portare avanti, dalla riduzione dei tempi del processo alla revisione dell’ordinamento giudiziario, deve mirare a consegnare al cittadino una giustizia, non soltanto più efficiente e celere, ma anche e soprattutto più credibile attraverso il recupero della fiducia nella magistratura”. Ma a dare con grande forza il senso della degenerazione che
l’ambiente vive in queste settimane è stato il vice presidente
del Csm David Ermini: “Le garantisco, signor Presidente, che
l’abbrutimento etico dell’ordine giudiziario ha nell’attuale Csm
l’avversario più tenace e inflessibile. Contrastare ogni scoria
correntizia e mantenere l’autogoverno nel solco tracciato dalla
Carta costituzionale è già ora e ancor più lo sarà nei mesi a
venire il nostro quotidiano assillo”, ha assicurato dal
Quirinale. Nelle pieghe di questo severo discorso dedicato alla
Giustizia il Presidente trova anche spazio per una
puntualizzazione che probabilmente non avrebbe mai pensato di
dover ripetere a cinque anni dalla sua elezione al Colle. E che
suona più o meno così: basta strattonarmi, chiedermi interventi
di ogni tipo e genere che esulano dai miei poteri, io non ho la
minima intenzione di espanderli sfruttando alcune debolezze
della politica. “Si odono talvolta – ha detto Mattarella – esortazioni, rivolte al Presidente della Repubblica, perché assuma questa o quell’altra iniziativa, senza riflettere sui limiti dei poteri assegnati dalla Carta ai diversi organi costituzionali. In questo modo si incoraggia una lettura della figura e delle funzioni del Presidente difforme da quanto previsto e indicato, con chiarezza, dalla Costituzione”. E, soprattutto, non intendeva prima e non lo intenderà neanche nel prossimo futuro “ampliare” i poteri del Quirinale. “Non esistono motivazioni contingenti che possano giustificare l’alterazione della attribuzione dei compiti operata dalla Costituzione: qualunque arbitrio compiuto in nome di presunte buone ragioni aprirebbe la strada ad altri arbitri, per cattive ragioni”.

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