Il capo dello Stato irrompe sulla scena dello scandalo sulla magistratura. Mattarella ha invitato le toghe a “recuperare la credibilità e la fiducia dei cittadini” restando fedeli alla carta.
Sergio Mattarella torna ad alzare la voce, e lo fa nei confronti della magistratura. È ancora molto caldo il tema relativo allo scandalo delle toghe, e le parole del capo dello Stato sono ancora una volta forti all’indirizzo dei magistrati. Mattarella ne ha parlato oggi al Quirinale, nel corso di una cerimonia particolare e toccante. Sono infatti stati ricordati i cinque magistrati uccisi dal terrorismo rosso e dalla mafia: Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Giudo Galli, Mario Amato, Gaetano Costa e Rosario Livatino. In questa giornata, non poteva non essere forte l’appello del presidente della Repubblica.
Mattarella ha fatto capire che le toghe sono chiamate a “recuperare la credibilità e la fiducia dei cittadini”. Il tutto nel pieno rispetto dei poteri dello stesso capo dello Stato e della Costituzione. Secondo il presidente della Repubblica, è necessario avere “il coraggio di abbandonare atteggiamenti fondati su prospettive limitate, di corto respiro, che, distorcendo la vita delle istituzioni, rischiano di delegittimarle”. Si tratta, secondo il parere espresso oggi in Quirinale da Mattarella, di un “dovere istituzionale che grava su ciascuno. E che non può essere eluso”.
Il presidente della Repubblica è tornato a parlare dell’inchiesta Palamara, di cui si è occupato già un anno fa. Stando alle sue parole, “la documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia sembra presentare l’immagine di una magistratura china su stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi”. Un fenomeno che sarebbe già emerso un anno fa, quando il Csm è stato chiamato a occuparsi nuovamente della questione. Il presidente intravede anche “un’ampia diffusione della grave distorsione sviluppatasi intorno ai criteri e alle decisioni di vari adempimenti nel governo autonomo della Magistratura”.
L’affondo di Mattarella non vuole essere però generalizzato. È sua premura sottolineare che “queste logiche non appartengono alla magistratura nel suo insieme, che rappresenta un ordine impegnato nella quotidiana elaborazione della risposta di giustizia rispetto a una domanda che diventa sempre più pressante e complessa”. In ogni caso, secondo il capo dello Stato “la stragrande maggioranza dei magistrati è estranea alla ‘modestia etica’ emersa da conversazioni pubblicate su alcuni giornali e oggetto di ampio dibattito nella pubblica opinione”. Per questo denigra gli attacchi ai magistrati nella loro interessa.
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E poi si è parlato del tema dei limiti dei poteri del capo dello Stato, il quale guida il Csm com’è scritto sulla Costituzione. La carta alla quale Mattarella ribadisce di volersi attenere fortemente per mantenerne intatto il rispetto delle parti. “Si odono – dice il presidente – talvolta esortazioni, rivolte al Presidente della Repubblica, perché assuma questa o quell’altra iniziativa senza riflettere sui limiti dei poteri assegnati dalla Carta ai diversi organi costituzionali. In questo modo si incoraggia una lettura della figura e delle funzioni del Presidente difforme da quanto previsto e indicato, con chiarezza, dalla Costituzione”.
Il discorso del capo dello Stato si chiude con una esortazione alle toghe. “Questo è il momento di dimostrare, con coraggio, di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile. È indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati”.
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