La regione Umbria ha deciso di vietare l’uso della pillola abortiva Ru486 all’interno dei day hospital e con terapia domiciliare. Questo utilizzo della pillola era stato autorizzato nel 2018. A difendere la decisione la governatrice leghista Tesei che sostiene che si tratta di una misura per difendere le donne.
A commentare la scelta di vietare la pillola abortiva Ru486 all’interno dei day hospital e con terapia domiciliare è Donatella Tesei, governatrice leghista della regione Umbria: “Non è assolutamente un passo indietro. La libertà di una scelta sofferta, come quella dell’aborto, rimane. Ma c’è una maggiore tutela per la salute della donna”. Lo dice al Corriere, e ora appare chiaro: le donne che vorranno abortire dovranno essere ricoverate per tre giorni. A deciderlo è stata la giunta, su proposta dell’assessore Luca Coleto. Viene eliminata dunque la legge che permetteva l’aborto in day hospital, emanata nel 2018. La legge del 2018 era a sua volta legata alla legge 194, che prevedeva il ricovero ospedaliero. Tuttavia, la legge lasciava spazio alle regioni per organizzarsi diversamente. Nel 2018 era arrivata una soluzione: la possibilità di abortire con la pillola entro la settimana di gravidanza, in due modalità (day hospital e terapia domiciliare). Possibilità, a quanto pare, abolita.
Da sinistra arrivano i primi attacchi sulla decisione presa dalla giunta, una posizione, però, difesa dalla Tesei: “Ho applicato la legge nazionale non per togliere un diritto delle donne. Al contrario, da avvocato impegnata nella tutela dei diritti individuali penso che abbiamo aggiunto la garanzia di poter abortire in sicurezza. Siccome i rischi ci sono e sono evidenti, incidenti di percorso ci possono essere e ci sono stati”. Fa un passo indietro, però, quando si parla dell’aborto in sé: “Non si può dire ‘sono contraria o favorevole’, è una scelta individuale difficile e sofferta”. Altre obiezioni riguardano il possibile sovraffollamento degli ospedali, proprio durante l’emergenza coronavirus. A questa osservazione la Tesei risponde negando che in Umbria ci sia un vero e proprio stato emergenziale. Gli ospedali umbri sono vuoti, il problema non si pone. Arriva il sostegno anche di Simone Pillon, uno dei promotori del Family Day, commissario della Lega in Umbria: “Da oggi evitiamo che la donna sia lasciata sola davanti a eventuali rischi come emorragie, infezioni o altre complicanze”.
Proprio a proposito di Pillon, i dem del gruppo consiliare accusano: la scelta è stata presa solo ed esclusivamente per accontentare Pillon. Poi denunciano: “Così viene reso volutamente a ostacoli il percorso per ottenere l’opzione farmacologica”. L’Associazione Luca Coscioni non sembra voler mollare, anzi, pretende un incontro immediato con la regione: “Risulta difficile comprendere i motivi di questo gravissimo ritorno indietro, che mette in pericolo il diritto alla salute e all’autodeterminazione delle donne”. A lanciare l’allarme anche i senatori M5s della commissione Sanità: è una “scelta che mette in chiara difficoltà le donne che vedono messa a repentaglio la loro libertà di scelta”. A intervenire è anche Nicola Fratoianni, portavoce di Sinistra Italiana: “In Umbria si torna indietro costringendo le donne a 3 giorni di ricovero. È una scelta che comporta tre cose: la riduzione della libertà di scelta, un attacco violento alla privacy e, in piena pandemia, anche l’esposizione delle donne a un rischio più alto di contagio. Tre conseguenze, folli, ideologiche e oscurantiste. Anche la Società italiana di ginecologia e ostetricia ha chiesto il contrario”.
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