Dino Reatti venne pestato a morte la notte del 7 giugno 2012: condannati per l’omicidio la moglie Sonia Bracciale, il nuovo compagno e un amico.
- Storie Maledette: Sonia Bracciale
- Storie Maledette: casi simili
- La Storia dell’Omicidio Reatti
- Le prove contro Sonia Bracciale
- Il processo e la condanna
Storie Maledette: il delitto di Sonia Bracciale
Inquadrata di spalle, i boccoli neri in primo piano: uno squadro che si può solo immaginare, morbido, appena sfiorato. Franca Leosini intervista Sonia Bracciale (su Facebook Sono Ferrari) nell’ambito del programma Storie Maledette: la donna è detenuta a seguito della condanna per l’omicidio del marito Dino Reatti, per cui si professa disperatamente innocente da anni. Non ha ucciso lei il marito, né ha chiesto che pagasse per tutto ciò che era stata costretta a subire perché lei sostiene: “Non potevo essere gelosa di una prostituta”. L’intervista alla Bracciale è l’ultima di un brevissimo ciclo composto da due puntate dedicato ai mandanti degli omicidi: prima di lei era stato sentito Francesco Rocca, condannato per il delitto di Dina Dore, sua moglie per cui, anche lui, continua a protestarsi innocente.
Leggi anche –> Franca Leosini e il mistero sull’età: ecco quanti anni ha davvero
Leggi anche –> Valentina Pitzalis: oltre ogni ragionevole dubbio
Storie Maledette: casi simili al delitto Reatti
Sonia Bracciale, prima di lei Francesco Rocca che nella scorsa puntata ha annunciato che cercherà di ottenere la revisione del processo perché, secondo lui, ci sono stati degli errori nel corso delle indagini. Quella del dentista di Gavoi non è l’unica storia raccontata dalla Leosini drammaticamente simile a quella della Bracciale. 20 anni fa, il 9 febbraio del 2000, nel corso di una puntata di Storie Maledette, venne intervistata Luisella Pullara, definita dai giornali “La Mantide di Gassino”. La donna era stata condannata a 25 anni e i e sei mesi di reclusione per aver organizzato l’omicidio del marito Sergio Cafasso, impiegato in banca e accoltellato sotto casa la sera dell’8 agosto 1997 dal di lei amante Enrico Cubello e un complice, Massimo Di Vico, e spacciato ai carabinieri come un’ aggressione da parte di ladri stranieri. La Pullara sostenne sempre che il marito era stato vittima di un tragico errore perché il Cubello e il Di Vico erano andati nel giardino della loro casa di notte per dargli una lezione, essendo la vittima un uomo molto violento. A incastrarla le testimonianze dei due uomini, proprio come accadde poi per Sonia Bracciale.
È a Franca Leosini che Sonia Bracciale, accusata di essere la mandante di un feroce pestaggio che ucciderà il marito, racconta in esclusiva la sua storia.#StorieMaledette – Quegli amori fatali, domenica alle 21.20 su @RaiTre. pic.twitter.com/6Be2vNEU5m
— Storie Maledette (@StorieMaledette) June 10, 2020
Leggi anche –> Maddie MCcann: la storia di un rapimento lunga 13 anni
Sonia Bracciale: la Storia dell’Omicidio Reatti
É notte fonda vicino Brescia, il cielo è sereno nella calda estate emiliana quando Dino Reatti viene aggredito nel cortile di casa sua nella campagna di Anzola Emilia. Gli aggressori lo sorprendono all’improvviso con una spranga, ma lui non si arrende, lotta, li ferisce. Non vuole morire Dino, ma loro sono troppi e alla fine hanno la meglio. Chissà se mentre saluta la vita per l’ultima volta l’artigiano dedica un pensiero alla moglie che poche ore dopo sarà fermata insieme al suo nuovo compagno, Thomas Sanna e un suo amico Giuseppe Trombetta, per quell’aggressione. L’ipotesi che ha portato gli investigatori, coordinati dal Pm Rossella Poggioli, al fermo è che la donna che si stava separando da Reatti, abbia istigato gli altri due, di lei invaghiti ad aggredire l’artigiano. Dopo 24 ore i due hanno confessato l’omicidio, spiegando che la loro intenzione era quella di dargli una lezione, per intimidirlo dopo che Sonia Bracciale gli aveva raccontato di essere stata vittima di violenze da parte del marito. Reatti aveva, però, reagito ferendoli e costringendoli all’atto finale.
Leggi anche –> Omicidio Palme: il killer ha un nome ma si è suicidato nel 2000
Le prove contro Sonia Bracciale
Dino Reatti, 47 anni, era stato trovato dai soccorsi con il cranio fracassato, lividi su tutto il corpo e una mandibola rotta nel giardino del suo casolare; su di lui nessuna prova che potesse ricondurre alla moglie Sonia Bracciale, se non un movente sostenuto da Thomas Sanna e Giuseppe Trombetta: era un modo per convincerlo ad andarsene di casa e pagare i debiti che aveva nei confronti dell’ex moglie. La donna ha sempre preso le distanze dai due esecutori materiali dell’ omicidio, sostenendo che avessero male interpretato il rancore che provava nei confronti del marito che aveva anche denunciato per maltrattamenti. In realtà Trombetta, inchiodato fin da subito insieme a Sanna dalle indagini dei carabinieri, ha detto che era stata proprio lei a dire loro di «andare a dargli una lezione». I due invaghiti della Bracciale, a quanto risulta, si erano presentati al Pronto Soccorso perché feriti dalla vittima. Secondo la loro ricostruzione lei aveva organizzato la spedizione punitiva; «Basta che non lo ammazziate», li aveva avvertiti Bracciale, secondo le indagini, mostrando loro una foto e consigliando di colpirlo alla gamba destra.
Leggi anche –> Martina Rossi assolti i presunti autori di uno stupro di gruppo: il fatto non sussiste
Il processo e la condanna di Sonia Bracciale
Ventuno anni e due mesi di reclusione per Sonia Bracciale, la 45enne brindisina accusata d’essere stata la mandante dell’omicidio dell’ex marito Dino Reatti, avvenuta la notte del 7 giugno del 2012. Con la sentenza la Corte ha anche condannato la Bracciale a risarcire le due sorelle di Reatti con 140 mila euro per il suo ruolo nel concorso dell’omicidio del marito. Thomas Sanna e Giuseppe Trombetta hanno optato per il rito abbreviato e in appello sono stati condannati rispettivamente a 16 e 14 anni. Contro la decisione della Corte di assise hanno fatto ricorso sia il pm Rossella Poggioli, che aveva coordinato le indagini dei carabinieri, che la difesa di Bracciale, avvocato Stella Pancari, chiedendo l’assoluzione per non aver commesso il fatto o in subordine una formula più dubitativa.