La Corte Suprema di Israele ha annullato la legge del 2017 che legalizzava gli insediamenti ebraici in Cisgiordania costruiti sulla terra privata palestinese. La legge sarebbe stata bollata come “incostituzionale”.
La Corte Suprema di Israele ha emesso il verdetto: la legge del 2017 che consentiva una legalizzazione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania (costruiti su terra privata palestinese) è in realtà incostituzionale. Pertanto la legge viene annullata. Più in particolare, la legge – osteggiata dal procuratore generale Avichai Mandelbli – avrebbe legalizzato in maniera retroattiva oltre 4.000 insediamenti non autorizzati in Cisgiordania. Ora la decisione della Corte Suprema, decisione che arriva proprio durante i tentativi del Governo Netanyahu di annettere parti della Cisgiordania. A rendere incostituzionali quegli insediamenti è, secondo la Corte, il fatto che la legge “viola i diritti di proprietà e di eguaglianza dei palestinesi mentre privilegia gli interessi dei coloni israeliani sui residenti palestinesi”.
Stando a quanto riportato dal Jerusalem Post la sentenza afferma che la legge ha legalizzato “retroattivamente la costruzioni illegali degli ebrei nell’area”. In tal modo sono state provocate “conseguenze profondamente dannose per i diritti sostanziali dei palestinesi“. La decisione è stata approvata da otto giudici, un solo voto contrario e, stando al quotidiano, “provocherà sicuramente una nuova ondata di condanne da parte della destra”. Sempre secondo il giornale, dall’altro lato la sentenza potrebbe avere un ulteriore effetto: rinvigorire l’indipendenza della giustizia israeliana davanti alla Corte penale internazionale, la stessa corte che potrebbe pronunciarsi di fronte al conflitto israelo-palestinese. Effettivamente il Benjamin Netanyahu e il suo partito, il Likud, hanno già sottolineato la loro delusione per questo tipo di sentenza e hanno annunciato: è già a lavoro l’idea di redigere un altro disegno di legge. Di segno completamente opposto è, invece, la posizione della coalizione Blu e bianco che, stando al Jerusalem Post, ribadisce l’esigenza di rispettare e attuare la decisione.
E la sentenza fa felice, ovviamente, anche la fazione palestinese che, attraverso la voce dell’ambasciatrice palestinese in Italia, aveva già espresso la speranza in un esito di questo tipo. In un’intervista a Formiche.net aveva infatti affermato: “Le più recenti dichiarazioni relative all’annessione degli insediamenti sono coerenti con il programma perseguito finora da Netanyahu, e sono state precedute da altre analoghe promesse fatte alla popolazione israeliana per guadagnare consenso elettorale. Noi palestinesi continuiamo a confidare nella legge internazionale che definisce gli insediamenti israeliani come un esito illegale dell’occupazione, ma siamo anche consapevoli del fatto che i Governi israeliani hanno finora agito in modo tale da creare situazioni sul terreno che la comunità internazionale non è stata in grado di contrastare. È ora giunto il momento di reagire”.
I palestinesi però, seppur contenti della sentenza, restano in allerta per l’intenzione già preannunciata dal premier Netanyahu: l’annessione di parte della Cisgiordania. Il premier dell’Autorità nazionale palestinese Mohammed Shtayeh ha commentato senza mezzi termini: “E’ una minaccia esistenziale, una erosione totale delle nostre aspirazioni nazionali”. Poi l’annuncio: se Israele annetterà la Cisgiordania, i palestinesi penseranno a avviare l’iter per la proclamazione dello Stato di Palestina, con Gerusalemme capitale. E’ lo stesso premier palestinese ad affermarlo: “Da istituzione ad interim, l’Anp passerà ad una manifestazione dello Stato sul terreno con un Consiglio di fondazione e con una Dichiarazione costitutiva. Chiederemo il riconoscimento internazionale: che il mondo scelga allora tra il diritto internazionale e l’annessione”. Poi la frase tranchant: “Siamo giunti al momento della verità”.
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