Secondo i risultati preliminari della sperimentazione l’Avigan dimostra di riuscire a bloccare la riproduzione delle particelle virali nella cellula.
I test andranno avanti perché il Giappone è convinto di essere vicino ad una cura: non si fermano le sperimentazioni in ambito coronavirus. La giapponese Fujifilm Holdings continuerà a condurre sperimentazioni cliniche per la cura del nuovo coronavirus sul farmaco antinfluenzale Avigan da lei prodotto, oltre il termine previsto di giugno perché secondo i primi test la cura sarebbe sorprendentemente efficace. A dare l’annuncio del posticipo una fonte della casa farmaceutica all’agenzia Kyodo, spiegando che la mancanza fino ad oggi di dati sufficienti – anche a causa del calo delle infezioni dell’agente patogeno – costringe a un prolungamento dei test iniziati lo scorso marzo ma ci sarebbero ottime speranze di successo.
Attualmente l’azienda dice di non sapere quando il farmaco – conosciuto anche con il nome di favipiravir e considerato fino a qualche tempo fa uno dei principali candidati per il trattamento del coronavirus – potrà terminare i test. Il governo giapponese lo scorso mese ha comunicato che non approverà il farmaco come una possibile cura per la malattia dopo che uno studio della Fujita Health University ha rivelato una scarsa efficacia contro il virus SarsCoV2. L’azienda era ad un impasse ma ha deciso di proseguire comunque i test.
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Il ministro della Salute giapponese, Katsunobu Kato, ha detto che le autorità valuteranno l’approvazione se i test che la società sta conducendo dovessero portare ulteriori risultati positivi. La divisione della Fujifilm, Toyama Chemical, ha comunque incrementato la produzione dell’Avigan in seguito allo stanziamento da 13,9 miliardi di yen, l’equivalente di 112 milioni di euro del governo di Tokyo, per triplicare le scorte a un livello utile per trattare fino a 2 milioni di persone.
Secondo i risultati preliminari della sperimentazione l’Avigan riuscirebbe a bloccare la riproduzione delle particelle virali nella cellula, ma va evitato per le donne in attesa in quanto potrebbe portare ad anomalie del feto. Il farmaco non è in commercio anche se la produzione ha preso avvio già 6 anni fa, molto prima che si scatenasse la pandemia.
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