Hulk | il “cinefumetto d’autore” di Ang Lee tra sperimentazione e tradizione

Il cinecomic Hulk di Ang Lee del 2003 non gode di grande fama e, all’epoca della sua uscita, si rivelò un clamoroso insuccesso. Nonostante ciò, il film meriterebbe oggi una seconda occasione.

Hulk, “cinefumetto d’autore” diretto da Ang Lee nel 2003 ed ispirato al celebre personaggio di casa Marvel, non ottenne il successo sperato. Così cinque anni dopo venne realizzato un reboot diretto da Louis Leterrier, con Edward Norton nel ruolo di Bruce Banner, con l’intenzione di cambiare definitivamente rotta. Nonostante ciò, con il passare del tempo, in molti hanno rivalutato quel coraggioso tentativo di Ang Lee di unire il racconto classico del cinema hollywoodiano con la sperimentazione cinematografica (obiettivo che il regista cercherà poi di raggiungere ininterrottamente anche con i suoi film successivi, da Vita di Pi al recente Gemini Man).

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Hulk | il coraggioso tentativo di Ang Lee

Nel 2008, quando la Marvel decise di “cancellare” il clamoroso insuccesso di Ang Lee con un nuovo “Incredibile Hulk” diretto da Louis Leterrier ed interpretato da Edward Norton, tutte le scelte vennero prese per differenziare quanto più possibile la trama del nuovo film da quella del film di Lee, modificando anche il look del personaggio e il tono del racconto. Questo fu fatto scegliendo in primis di non incentrare tutto sulla paternità mancata e sul racconto delle origini di un mostro, che invece vengono solo brevemente accennate durante i titoli di testa, ma di aderire ad una logica squisitamente più action. Se il film di Ang Lee approfondiva quindi alcune tematiche solo accennate nelle storie a fumetti degli anni sessanta, quello di Leterrier a suo modo si rifaceva alla serie per la tv degli anni ’70. Per Ang Lee tra Bruce Banner e Hulk non vi è un vero e proprio dualismo. Hulk è a tutti gli effetti Bruce Banner, le cui pulsioni più basse emergono nella loro violenza con una conseguente riduzione del controllo su se stesso. Hulk è già dentro Banner. E i raggi gamma lo portano fuori.

I compromessi di un autore

Ang Lee è sempre stato consapevole del fatto che, quando si lavora ad un blockbuster, si deve offrire all’industria un prodotto che risponda ai parametri richiesti dal pubblico. “Mica puoi fare della saggistica con un budget superiore ai cento milioni di dollari”, spiegò brutalmente Lee durante la promozione del film. Il regista taiwanese nella sua carriera ha sempre cercato di perseguire la propria idea di cinema senza per questo rinunciare alle “comodità” delle grandi produzioni. Nel suo cinecomic, quindi, ci sono combattimenti, kick-boxing, inseguimenti, senza per questo sacrificare la dinamica alla Dr. Jekyll/Mr. Hyde, il tema di diniego e quello della mescolanza tra esaltazione e senso di colpa. Componenti più intellettuali che, quando serve, prevalgono sull’azione.

Le differenze tecnologiche

Per il suo film Ang Lee si era messo in gioco in prima persona arrivando a prestare i suoi movimenti e il suo corpo per il motion capture. Era lo stesso regista ad indossare la tutina di sensori e a compiere tutti i movimenti che sarebbero stati poi attribuiti alla creatura creata al computer. Ma già nel 2008, quando la tecnologia era ormai diversa e migliore, non c’era più bisogno che il regista si facesse carico egli stesso della parte di motion capture per ottenere il risultato da lui immaginato. Gli attori virtuali, infatti, per quanto abbiano i movimenti di attori veri, non possono essere diretti efficacemente dal regista, che comunque vede davanti a sé un attore con la tutina e non il prodotto finale che comparirà su schermo. Un problema cui ha posto soluzione solo la nuova tecnologia di previsualizzazione, che consente di vedere una versione “semplificata”, ma affidabile, del risultato finale del motion capture in diretta sui monitor presenti sul set.

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