I domiciliari “facilitati” concessi dopo le rivolte dei primi di marzo nelle carceri hanno dato l’impressione di una “bandiera bianca” dello stato. Lo afferma il consigliere del Csm Sebatiano Ardita.
“Dopo le rivolte ai primi di marzo in cui sono morti 14 detenuti, la risposta è stata quella di un provvedimento di detenzione domiciliare facilitata per coloro che prima non erano stati ammessi al beneficio, un provvedimento inopinato, dava l’impressione di una bandiera bianca dello Stato”. La pesante affermazione arriva dal magistrato Sebastiano Ardita, consigliere del Csm intervistato da Massimo Giletti a “Non è l’Arena”, su La 7. Il tema dell’intervista è il 41 bis. “Io non l’avrei mai firmata quella circolare – dice Ardita rispondendo ad una domanda di Giletti – ma neppur nessun direttore dell’ufficio detenuti una circolare come quella l’avrebbe firmata perchè i detenuti devono rimanere in carcere. E’ un atto suscettibile di gravissime conseguenze anche politiche e di ordine pubblico, nè poteva essere firmata da una funzionaria di turno del Dap: il funzionario doveva solo firmare i trasferimenti urgenti per motivi di salute ma non altro. Quella circolare andava poi accompagnata da un appunto al capo di gabinetto o addirittura al ministro della giustizia”.
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Ma le dichiarazioni più inquietanti da parte di Ardita arrivano poco dopo, e riguardano il regime di carcere duro previsto dall’articolo 41 bis della normativa penitenziaria. Quello che, dopo la strage di Capaci nel 1992, fu applicato ai detenuti per associazione mafiosa. “C’è un disegno per smantellare il 41 bis, è lo scopo di Cosa nostra, l’organizzazione sta sviluppando vari rapporti” ha affermato il giudice. “Come ci difendiamo? Con un carcere civile: se viene meno questo baluardo è finita: uno dà fuoco al carcere e
poi esce, la gente cosa pensa?”.