Si fa sempre più complessa la trattativa per l’uscita del Regno Unito dall’Ue, e il fantasma di una hard Brexit, l’uscita senza accordo, si fa sempre più realistico. Intanto il negoziatore del Regno Unito David Frost fa sapere: sull’accordo Brexit i toni sono “positivi” ma ci sono solo “progressi limitati”.
E’ David Frost, capo negoziatore britannico, a far sapere che la trattativa per l’uscita del Regno Unito dall’Ue procede in maniera macchinosa. C’è un tono positivo, ma i progressi restano limitati. E questa è la situazione al netto del quarto round in videoconferenza per trovare un accordo. David Frost fa anche notare l’inadeguatezza del mezzo di comunicazione, in risposta a Michel Barnier, capo negoziatore Ue. Il britannico ribadisce: il formato digitale dei colloqui ha ormai raggiunto i suoi “limiti”, è necessario accelerare. Soprattutto vista la delicatezza del momento, dice Frost: “I progressi rimangono limitati, ma i nostri (ultimi) colloqui hanno avuto un tono positivo e noi restiamo impegnati per un successo finale. Siamo in un momento importante di questi colloqui, vicini ai limiti di ciò che possiamo conseguire attraverso il formato dei round da remoto: se vogliamo far progressi, è chiaro che dobbiamo intensificare e accelerare il lavoro, discutendo con la Commissione su quale sia il modo migliore”.
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Soprattutto, sottolinea Frost, una chiusura rapida del negoziato sulla Brexit permetterebbe di fornire uno sguardo sul futuro utile ai cittadini: “Chiudere questo negoziato in tempo utile per consentire alle persone e alle aziende di avere certezze sui termini delle relazioni commerciali che seguiranno la conclusione del periodo di transizione alla fine di quest’anno”. Poi Frost ribadisce la totale disponibilità del Regno Unito (per evitare lo spettro di un’hard Brexit): “Da parte nostra siamo pronti a lavorare duro per individuare almeno le linee di un accordo bilanciato su tutti i temi. Un deal che ovviamente dovrà tenere conto della posizione ben fondata del Regno Unito sul cosiddetto level playing field“.
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Il level playing field è l’allineamento normativo agli standard di Bruxelles da applicare a diverse materie. Lo scopo, ovviamente sostenuto dall’Ue, è evitare rischi di concorrenza sleale. Dall’altro lato, c’è la resistenza di Londra, che non vuole piegarsi al piano in virtù della ritrovata sovranità. Così Frost ribadisce: bisogna tenere conto della posizione del Regno Unito sul level playing field, “sulla pesca e su altre questioni difficili”. Anche Michel Barnier, capo negoziatore dell’Ue, batte il chiodo sulle tempistiche: l’accordo va trovato entro il 31 ottobre, in modo da poterlo ratificare entro fine anno. Si tratta di un periodo di meno di cinque mesi. Sugli altri temi, la posizione dell’Ue è di senso opposto.
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Anche Barnier frena molto sull’intesa: “Alla fine di questa settimana di negoziati la mia responsabilità come negoziatore è di dire la verità: non ci sono stati progressi significativi”. ll Regno Unito, sottolinea Barnier, non sembra voler mostrare interesse per un “nuovo approccio”. Tanto meno per il level playing field sul quale “non abbiamo realizzato alcun progresso”. E aggiunge: “Sulla governance del futuro partenariato restiamo ancora lontani”, mentre sulla “cooperazione di polizia e giudiziaria abbiamo avuto una discussione positiva su alcuni punti ma restano da fare ancora importanti riflessioni. Chiediamo il rispetto della dichiarazione politica”. Quest’ultima frase è legata a un’altra osservazione presentata da Barnier, in maniera molto dura: “La controparte britannica si distanzia dalla dichiarazione politica concordata”. In sostanza, il capo negoziatore Ue sembra spazientito, tanto da richiamare la controparte alla serietà.
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In caso di hard Brexit, gli scossoni a livello finanziario potrebbero essere imponenti. Già ora il mercato torna a fiutare il fantasma di un’uscita senza accordo. Gli investitori sembrano nervosi, anche perché, senza un accordo, si fa sempre più probabile un’uscita “al buio”, che porterà con sé l’applicazione di tariffe e dazi. A questo scenario si unisca il fatto che il Regno Unito sta già devolvendo gran parte delle sue energie alla gestione dell’emergenza coronavirus, che si stima causerà un calo del Pil di oltre il 10%, con la perdita di oltre 6 milioni di posti di lavoro. A questo punto, arrivano i primi segnali dalla borsa: l’indice Ftse 100 giovedì ha chiuso in calo dello 0,9%, mentre la sterlina è scesa a quota 0,9 sull’euro, ai massimi degli ultimi sei mesi.