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Cronaca

Lo studio: i cani e il loro fiuto contro il Coronavirus

La prof.ssa Mariangela Albertini docente e ricercatrice del Dipartimento di Medicina Veterinaria all’Università di Milano parla dello studio che si sta effettuando sulla capacità dei cani di fiutare il coronavirus.

Se ne sta già parlando da molto tempo. La possibilità che il cane, con il suo naso, possa fiutare l’infezione da Coronavirus è un argomento che ha spinto due gruppi di ricerca, uno negli Usa in Pennsylvania e uno in Europa alla Medical Detection Dogs inglese, ad uno studio per  valutare questa possibilità. La speranza è, grazie ai cani, di rintracciare i soggetti positivi tramite lo screening di massa negli aeroporti, nelle stazioni dei treni e in tutti i posti dove c’è un passaggio cospicuo di persone.

Il naso del cane uno ‘strumento’ eccezionale

La professoressa Mariangela Albertini, docente di Fisiologia Veterinaria del Dipartimento di Medicina Veterinaria all’Università degli Studi di Milano “La Statale” e autrice di diverse centinaia di ricerche scientifiche su fisiologia, etologia animale e comportamenti del cane, parla del segreto del fiuto canino. Il cane, spiega la Dottoressa, ha un mucosa olfattoria molto sviluppata. Nel pastore tedesco, ad esempio, sono presenti un miliardo di recettori olfattivi rispetto ai pochi milioni degli umani. Tutti i cani hanno almeno 300-400 milioni di recettori olfattivi. Il cane sfrutta il naso in modo differente. È in grado di utilizzare una narice per volta e di comprendere così anche la direzione da cui arriva l’odore. Possiedono inoltre una quantità di corteccia cerebrale adibita alla percezione e al riconoscimento degli odori molto più sviluppata della nostra. Il cane ha elementi sia anatomici che fisiologici che lo rendono in grado di poter annusare particelle infinitesimali per noi invece prive di qualsiasi caratteristica olfattiva. La capacità di cui sono dotati i cani ha un nome specifico; come loro anche tutti i mammiferi hanno un olfatto macrosmatico. L’uomo invece è microsmatico.

L’uomo come capobranco

Come animale sociale il cane, grazie alla sua domesticazione avvenuta milioni di anni fa, si è avvicinato all’uomo. Prima che dal fiuto riesce a percepire le nostre emozioni con uno sguardo: è l’animale che meglio di tutti riesce a guardare l’uomo negli occhi e a capire ciò che prova. Con il nostro umore cambia anche il nostro odore a causa della produzione di ormoni differenti. Quando uomo e cane si guardano negli occhi avviene il rilascio di un ormone, l’ossitocina, lo stesso che viene rilasciato dalle mamme nei confronti dei figli, il diretto responsabile di quel genere di rapporto definito così particolare. Il cane, come animale di gruppo, prevede la presenza di un capo branco, identificato nell’uomo. Per lui siamo la sua famiglia da compiacere e da rendere felice. Riconoscendo gli odori gli mostriamo la nostra felicità ed il cane è spinto quindi a svolgere queste attività.

Il cane può infettarsi?

Il coronavirus è un territorio ancora sconosciuto ma da quanto sarebbe fino ad ora emerso sembrerebbe che, a contatto con una persona positiva, il cane potrebbe sì prendere il virus ma senza sviluppare la malattia. Resterebbe sostanzialmente un veicolo passivo, come potrebbe esserlo un qualsiasi oggetto. Per i felini invece è diverso il discorso: è noto infatti come le tigri dello zoo di NYC siano risultate positive contagiate dal loro stesso keeper. Anche per i più comuni gatti domestici si sono osservate delle sintomatologie gastroenteriche e polmonari ma si sono comunque risolte.

Gli studi in corso

Allo stato attuale il progetto partito dall’Inghilterra prevede l’utilizzo di campioni di urina di pazienti positivi. Un fluido biologico su cui in precedenza si è anche lavorato per individuare i pazienti con tumore al polmone, studiando la reazione del cane nel momento in cui lo annusava. Naturalmente prima di far annusare le urine di un paziente Covid positivo ci sarà un accertamento riguardo i rischi che ne possono derivare. Un’altra strada potrebbe essere quella di utilizzare gli indumenti indossati dai positivi, impregnati del loro sudore. Questa possibilità, in particolare, sarebbe eccezionale per poter identificare le persone infette ma asintomatiche e sfruttarla nei luoghi affollati. In aeroporto, ad esempio, il cane potrebbe segnalare la loro presenza. Lo stesso principio dei cani antidroga.

Il cane dentro casa a contatto con il virus

La presenza del nostro amico a quattro zampe nel contesto domestico va trattata come per qualsiasi altro membro della famiglia. Anche se il cane non sviluppa la malattia, la cosa migliore, in presenza di un soggetto positivo, è evitare il contatto con il cane per non farlo diventare un veicolo passivo del virus. A parte questo non vi sono particolari accorgimenti da tenere. Affrontiamo la vita con il nostro cane come è sempre stato fino a prima dell’arrivo del virus.

Gli animali selvatici e la nuova libertà

Abbiamo visto molti casi di animali selvatici che, con l’assenza dell’uomo, han deciso di fare capolino e riappropriarsi dei loro spazi. In questo caso il consiglio da seguire è uno e fondamentale: evitare semplicemente di disturbarli. Questi animali sono infatti usciti allo scoperto proprio perché l’uomo non era in circolazione. È logico pensare che abbiano paura di lui.

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