Pietro Pollichino era stato condannato in via definitiva a sei anni e otto mesi per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Torna in carcere il boss di Corleone Pietro Pollichino, che fa parte del gruppo dei capimafia scarcerati nelle scorse settimane per motivi di salute durante l’emergenza sanitaria per coronavirus. Pollichino era detenuto in regime di Alta sicurezza nel carcere di Melfi. Condannato in via definitiva a sei anni e otto mesi per associazione a delinquere di stampo mafioso, l’uomo ha 78 anni e deve scontare ancora oltre un anno di reclusione. Il suo fine pena è fissato nel luglio del 2021, ma il 28 aprile scorso aveva ottenuto dal tribunale di Sorveglianza di Potenza nove mesi di domiciliari nella sua casa di Corleone dove è rimasto fino ad oggi. Pollichino è stato condotto nel carcere Pagliarelli di Palermo, in attesa di essere trasferito a Napoli. La decisione di trasferirlo ai domiciliari è stata determinata dall’istanza del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dopo il decreto del 10 maggio che ha attribuito al Dap il potere di iniziativa nell’indicare ai magistrati di sorveglianza soluzioni sanitarie idonee per consentire il rientro dei boss scarcerati per motivi di salute negli istituti di pena. Il nome di Pollichino era ai primi posti dell’elenco predisposto dal vice capo del Dap Roberto Tartaglia.
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Il boss ora è costretto a tornare in carcere in applicazione del decreto antimafia approvato in Consiglio dei ministri lo scorso 9 maggio, grazie anche al combinato disposto rappresentato dal lavoro svolto dal nuovo vicecapo del Dap Tartaglia e dal decreto approvato dal governo. Pollichino era stato arrestato nel 2015 insieme a Rosario Lo Bue, Pietro Masaracchia e Salvatore Pellitteri: per gli investigatori i quattro erano al vertice della famiglia di Corleone, il clan di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Nelle intercettazioni agli atti dell’inchiesta i quattro minacciavano l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano. Stavano organizzando un piano per la sua morte: “Se siamo, se c’è l’accordo… lo fottiamo a questo…lo fottiamo, gli cafuddiamo una botta in testa”. Un dato interessante è che i boss paragonavano l’allora responsabile del Viminale a John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti assassinato il 22 novembre del 1963 a Dallas. “Kennedy era allora il presidente degli Stati Uniti, perché a Kennedy chi se lo è masticato? Noi ce lo siamo masticato, noialtri là in America! Ed ha fatto, ha fatto le stesse cose che ha fatto Angelino Alfano che prima è salito con i voti di Cosa nostra americana e poi gli ha voltato le spalle”: come se fosse stata Cosa Nostra ad uccidere il presidente. Non ci sono dati a supporto, certo è che i tempi stanno cambiando e molti boss saranno costretti a tornare in carcere terminata l’emergenza sanitaria.
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