Coronavirus, un gene difettoso farebbe crescere il rischio di contrarlo. È l’esito di uno studio pubblicato sul Journal of Gerontology
Una mutazione genetica “difettosa” farebbe aumentare notevolmente il rischio di contrarre il Coronavirus. È ciò che i ricercatori di uno studio sul morbo hanno riscontrato in America, dopo aver fatto un esperimento su 500mila persone della biobanca britannica. Lo studio, condotto dalla University of Exeter Medical School e dalla University of Connecticut School of Medicine, ha fatto emergere un alto rischio infezione da Covid-19 nei partecipanti europei in cui si riscontravano mutazioni nel gene ApoE abbinato a un’alta probabilità di contrarre l’Alzheimer e patologie cardiovascolari.
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“Secondo i nostri risultati, questa mutazione genetica raddoppia i rischi relativi a Covid-19 anche se non si sviluppano le malattie cardiache o l’Alzheimer” spiega Chia-Ling Kuo della University of Connecticut School of Medicine, “sappiamo che le persone con demenza hanno tre volte più probabilità di contrarre infezioni gravi da coronavirus, ma questa categoria non rientra ancora nei gruppi considerati a rischio“.
Il ricercatore spiega anche l’esito della ricerca in modo più dettagliato. “Il 2,36% dei partecipanti con origini europee aveva il gene difettoso ApoE, e il 5,13% di quelli risultati positivi a Covid-19 aveva questa mutazione genetica. I numeri indicano che la mutazione genetica raddoppia il rischio di infezione da coronavirus. Si tratta di una scoperta entusiasmante, perché adesso potremo capire come questo gene possa provocare la vulnerabilità a Covid-19″.
Secondo l’autore principale dello studio, David Melzer, infine, vi sono molti studi che finora hanno mostrato come le persone che hanno contratto la demenza senile abbiano maggiori probabilità di contrarre gravi infezioni di Coronavirus. “Il nostro studio suggerisce che tale propensione potrebbe non essere dovuta semplicemente agli effetti della demenza o della fragilità del soggetto, ma anche alla stessa mutazione genetica che si trova alla base della demenza“, chiosa.