In questa fase il nemico numero uno, per il rischio di ripresa dei contagi, sembra essere la movida. Dopo l’allarme lanciato da Conte, i sindaci si stanno organizzando.
Tante persone in un solo luogo: vicine, a contatto. Che magari si scambiano bicchieri o bottiglie. C’è poco da fare, in questo inizio della “Fase 2” a spaventare è la movida. La tradizione dell’aperitivo, la voglia di stare all’aperto in questa tarda primavera che inizia ad essere calda, il non riuscire più a stare chiusi dentro casa. Tutti fattori che possono portare alla realizzazione di un incubo: la ripresa dei contagi. E sull’ “allarme movida” come elemento primario di rischio contagio sembra che siano tutti d’accordo. A partire dai sindaci: a Bari scatteranno «multe salate». A Genova «entreranno in azione i megafoni». A Bologna i vigili «disperderanno gli assembramenti». Tutta Italia, da nord a sud, è d’accordo con il premier Giuseppe Conte sulla necessità di intensificare i controlli e ritirare fuori le misure restrittive nel caso in cui la curva epidemiologica dovesse risalire, magari proprio a causa dell’affollamento intorno ai locali notturni registrato negli ultimi giorni. A confermare i timori sono le dichiarazioni di Achille Variati, sottosegretario all’Interno: «Le notizie che ricevo da molte prefetture sono preoccupanti, c’è troppa leggerezza, soprattutto nei contesti aggregativi come piazze e bar, che possono facilitare la trasmissione del virus, c’è il rischio di tornare indietro». Lo stesso Variati ha poi annunciato una intensificazione dei controlli del Viminale «proprio sulla prevenzione degli assembramenti che oggi rappresentano il maggior pericolo di riaccensione del contagio».
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Su movida e rischi si è espresso anche il ministro alle Autonomie Francesco Boccia: «La movida in questo momento non solo è intollerabile, ma rischia di essere un focolaio permanente. La sicurezza non è un optional, è un obbligo e lo Stato interviene». Ma c’è anche lo spazio per la polemica: ed ovviamente (visto quello che è successo negli ultimi mesi) a polemizzare contro lo Stato sono le Regioni. Due in particolare: Veneto e Campania, che si sono trovate – in verità a sorpresa – escluse dal fondo di 200 milioni destinato alle aree più colpite dall’epidemia. Nonostante, sopratutto il Veneto, sia stato per lungo tempo tra le “zone rosse” d’Italia. Una scelta, avvenuta con una correzione postuma al decreto Rilancio, che ha sollevato le proteste di Luca Zaia («È da cestinare, faremo ricorso») e Vincenzo De Luca («Sconcertante»). La protesta dei due presidenti di Regione è stata ascoltata da Luigi Di Maio e poi dal PD, che hanno chiesto una modifica al decreto.