(Da Pixabay)
L’ultimo rapporto di Kelony, la prima agenzia di risk-rating a livello mondiale, sottolinea: in Italia il rischio rivolte sociali è alto, a causa di “una crescente esasperazione sociale basata sull’insoddisfazione”.
Nell’ultimo rapporto di Kelony, la prima agenzia di risk-rating a livello mondiale, appare l’allarme: in Italia si sta alzando esponenzialmente, a causa dell’emergenza coronavirus, il rischio di assistere a rivolte sociali. Il rapporto è stato consultato in anteprima da Il Giornale, e afferma chiaramente: “C’è il rischio di una crescente esasperazione sociale basata sull’insoddisfazione delle popolazioni che potrebbe portare a varie forme di rivolta su una scala senza precedenti”. Nello studio vengono delineati due scenari probabili. Il primo è “un’accelerazione del numero di procedimenti giudiziari, rappresentativi dello stato di diritto e della democrazia”. Il secondo scenario è invece rappresentato da “un nuovo stato di emergenza che per fronteggiare l’emergenza ordine pubblico potrebbe nuovamente rafforzare misure di eccezione contrarie alle libertà individuali”. Insomma, l’Italia, ma in genere tutto l’Occidente, sarà costretta a fare i conti con i colpi di coda dell’emergenza coronavirus e, visto il rischio rivolte sociali, non è detto che siano inferiori all’emergenza sanitaria. A quel punto tutto dipenderà dalla tenuta interna delle democrazie: o gli Stati affronteranno la crisi in un quadro giudiziario e di diritto, oppure cederanno a un irrigidimento governativo nel tentativo di contenere le tensioni sociali.
Secondo lo studio, un’evoluzione non indifferente riguarderà l’economia. Nel rapporto, infatti, si sostiene che la direzione intrapresa sia quella di una nuova Iri, una nuova Cassa depositi e prestiti. “Il rafforzamento della presenza degli Stati nell’economia, corollario del crescente bisogno di servizi pubblici per soddisfare le esigenze di solidarietà e di protezione dei più vulnerabili, sarà ampiamente sostenuto dalle imprese, nella speranza che i governi le aiutino a compensare le perdite e i deficit subiti”. La speranza, secondo lo studio, è che si tratti di una tendenza “temporanea, per tornare a un’economia più libera con una redistribuzione sociale dei profitti”.
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