In una recente e ricca intervista, Don Luigi Ciotti si esprime in merito alla questione della mafia, delle ingiustizie e delle corruzioni sociali radicate nel nostro Paese. Delle questioni per le quali auspica un atteggiamento di lotta e contrasto già con la fine della pandemia di Covid-19.
Don Luigi Ciotti, fondatore della Onlus torinese “Gruppo Abele” e dell’associazione “Libera“, lancia un coraggioso messaggio alla vigilia della del 23 maggio, giorno in cui cade l’anniversario della Strage di Capaci, attentato di stampo mafioso per il quale perse la vita Giovanni Falcone.
Con il suo ultimo libro “L’amore non basta“, che offre ai lettori la trama di un’autobiografia e diventa uno spunto interessantissimo per l’intervista dei giornalisti di Fanpage.it, il sacerdote invita a riflettere sul nostro concetto di “normalità”, su quella che per noi può essere definita e considerata una società normale. Una società che, prima del lockdown, vedeva la corruzione e la violenza della mafia distruggere le vite di moltissime persone, e tenere in pugno quella di moltissimi migranti. per questo, spiega don Luigi Ciotti: “Passata la pandemia dovremo resistere alla tentazione di ritornare a una normalità che era già malata prima del virus.”
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Sulla società e le mafie: condivisione e corresponsabilità per lottare contro l’ingiustizia
Finito il lockdown che ha tenuto segregati in casa gli italiani per ben due mesi, la direzione è ora quella di combattere affinché la pandemia di Covid-19 finisca il prima possibile. Ma, spiega in questo frangente il sacerdote durante la sua intervista, resteranno ancora tutte le profonde ingiustizie di prima. E anzi, se ne potranno creare addirittura di nuove, se non verrà fatto qualcosa di concreto per cambiare questa nostra società.
“Le attuali ingiustizie hanno una storia lunga e remota, che affonda le radici nel collasso etico e politico di una società – non solo la nostra – che ha tradito l’idea di uguaglianza, di diritto, di bene comune. Una società disgregata da un’economia selettiva che, con la complicità di gran parte della politica, ha posto il profitto come valore guida permettendo monopoli e abnormi concentrazioni di potere e ricchezza”, spiega don Luigi Ciotti a Fanpage.
E sottolinea: “Il risultato è sotto gli occhi di tutti: beni comuni trasformati in beni di consumo e di mercato, e distanze sempre maggiori tra una minoranza di super ricchi e masse di poveri, disoccupati, sfruttati, comunque disperati. La ripartenza richiede allora un nuovo paradigma politico, economico ma innanzitutto sociale e culturale”, se si vuole tentare di arginare quanto possibile le ingiustizie.
Questo perché, spiega il sacerdote, la possibilità di porre fine ai soprusi, alle disuguaglianze, alle fratture sociali è reale. “Sono la condivisione e la corresponsabilità le basi per lottare contro l’ingiustizia e per costruire giustizia. Quanto alla fede, per me è importante, essenziale proprio come spinta a saldare il Cielo e la Terra, il verticale e l’orizzontale, la spiritualità e la storia. Il credere in un al di là di giustizia, misericordia e amore e l’impegno per costruire già a partire da questo mondo le condizioni per cui ogni persona sia riconosciuta nella sua dignità, libertà, diversità.”
Ingiustizia e mafia si combattono con la regolarizzazione dei migranti
Se la condivisione e la corresponsabilità diventano quindi le basi per lottare contro l’ingiustizia e a nome della giustizia, per don Luigi Ciotti la battaglia non può essere certamente affrontata in solitudine, da “navigatori solitari”. “I problemi sociali sono di tale portata che li si può affrontare solo lottando e costruendo insieme“, spiega infatti il sacerdote. Anche a nome della legalità che viene al momento reclusa alle migliaia di persone arrivate nel nostro paese, a rischio della loro stessa vita.
“La regolarizzazione è uno strumento essenziale per combattere le mafie e tutte quelle connesse forme di corruzione e illegalità che traggono profitto proprio dal mercato nero, dalle zone grigie, dalle commistioni di legale e illegale. Sono dunque obiezioni di chi non sa o finge di non sapere”, sottolinea fermamente il sacerdote ai giornalisti.
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E incalza, alla fine del suo messaggio, affermando che la regolarizzazione dei lavoratori del comparto agricolo e della cura della persona è per questo soltanto un inizio, “un primo passo a cui devono però seguire altri passi per potersi definire una ‘svolta‘. Alcune misure sono ancora insufficienti per estensione e durata. La dignità della persona non è un valore ‘stagionale’, riducibile a logiche o convenienze di mercato. È l’essenza di una vita libera e responsabile, ed è il fondamento della democrazia“.