Coronavirus, mancano i reagenti per i tamponi: ma l’Italia li esporta

In questa Fase 2 dell’emergenza coronavirus si fa sempre più complessa la situazione tamponi, che possono essere analizzati attraverso dei kit di reagenti. Reagenti che, purtroppo, nel nostro Paese continuano a scarseggiare, nonostante le aziende nazionali li esportino all’estero.

tamponi coronavirus

In un recente servizio mandato in onda su Piazza Pulita (La7), è stata analizzata la situazione in cui versa l’Istituto Sperimentale Zooprofilattico di Brescia, uno dei laboratori autorizzati in Regione Lombardia per l’analisi dei tamponi. Nel servizio si parla di un costo di 750 euro per un kit di reagenti che serve ad analizzare un quantitativo di 384 tamponi, e che viene pagato direttamente dall’istituto. Tuttavia, e questo viene da sé, per mantenere il ritmo al momento necessario di 2000 tamponi al giorno, servono 5 kit di reagenti. Ma nella struttura bresciana si lavora “sempre con la paura che finiscano prima che ne arrivino altri“.

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Finiscono i reagenti, le aziende italiane li esportano

Perché il nocciolo della questione è proprio questo: non ci sono reagenti per i tamponi. Mancanza, questa, ribadita più volte anche dallo stesso commissario straordinario all’emergenza coronavirus Domenico Arcuri, nel corso dei vari punti stampa nella sede della Protezione Civile. “I reagenti sono un bene scarso nel mondo, in Italia ci sono pochi produttori e spesso non sono italiani“, spiegava non molti giorni fa.

Ma come mai tutta questa difficoltà nel reperire i reagenti? Maria Beatrice Beniotti, biologa che lavora proprio presso l’Istituto Sperimentale Zooprofilattico di Brescia, ha spiegato ai giornalisti di La7 che “le case produttrici fanno fatica a soddisfare il fabbisogno di tutti i laboratori. Tutte le ditte sono estere, la situazione è molto peggiorata da quando c’è stata l’emergenza negli Usa e in Inghilterra.” Dal momento che, ovviamente, i Paesi che hanno aziende nazionali che producono tali kit non li esportano con molta facilità, e pensano invece a soddisfare le loro necessità in primis. “Continuiamo a sollecitare le ditte di inviarceli, li supplico di mandarceli, ma se non glieli mandano dagli Stati Uniti loro non riescono a consegnarli”, ha poi sottolineato Beniotti.

La situazione diventa ancora più drammatica, tuttavia, se si pensa che il nostro Paese esporta i reattivi necessari per l’analisi dei tamponi. Come viene riportato da Il Giornale, il presidente di Confindustria dispositivi medici, Massimiliano Boggetti, ha analizzato la questione esponendo quello che viene definito un “paradosso”. Le aziende italiane che producono reattivi – che sono comunque poche – da qualche mese, ormai, stanno esportando la maggior parte di questi kit all’estero, mentre “una parte di produzione estera finisce in Italia”.

test coronavirus

Con una carenza che ormai, nel nostro Paese, è diventata strutturale, nonostante la chiamata e l’offerta – a cui hanno comunque risposto 59 aziende nazionali e internazionali – fatta dal commissario Arcuri. Perché, spiega Boggetti, la questione “non è quanto ora sia la capacità produttiva massima di reagenti delle aziende italiane, ma quanto è la capacità residua delle aziende”. Del resto, bisogna considerare che “le imprese hanno siglato contratti di fornitura con l’estero che non possono essere disattesi”.

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Il presidente spiega poi “qualcosa è andato storto, visto che l’Italia è il Paese dove ci sono le maggiori criticità nel reperimento dei reagenti”. “Non eravamo stati interpellati pur lavorando bene con la Protezione Civile – sottolinea Boggetti. Il commissario Arcuri ha riferito di aver contattato Farmindustria e Federchimica, peccato che a farli sono le nostre consociate di Confindustria dispositivi medici. Sono state contattate alcune nostre consociate, per sapere quale fosse la produzione massima. Ma non c’è stata chiarezza sui bisogni e su come approvvigionarsi”. Per questo motivo, ora è necessaria “una programmazione sul lungo termine per non farci trovare di nuovo impreparati”.

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