Il gruppo di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) non è fiscalmente “neutro” per l’amministrazione italiana, e può dunque continuare ad accedere ai fondi di Stato anche anche se ormai ha sede all’estero.
FCA può accedere ai fondi in Italia pur avendo sede all’estero. Questo è possibile perché, nonostante la sede fiscale sia trasferita a Londra e la holding capogruppo in Olanda, la compagnia non ha reciso i suoi legami con l’amministrazione tributaria italiana. Dunque, nonostante lo spostamento nel 2013 e nel 2014 dei centri decisionali, il gruppo non risulta fiscalmente neutro secondo la nostra amministrazione.
Come si legge nell’ultimo articolo de Il Sole 24 Ore, ci sono due aspetti da considerare in questa “fiscalità perdurante“: il primo, riguarda la exit tax, mentre il secondo riguarda le attività decentrate rimaste nel nostro Paese – con la presenza di una subsidiary (società controllata) o di una succursale (sede secondaria) in territorio italiano.
Per exit tax si intende qull’imposta sui redditi dovuta sulle plusvalenze, da parte di una società, che vengono realizzate in occasione del trasferimento della residenza verso uno Stato dell’Ue o verso uno comunque aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo.
Come riportato da Galimberti e Romano, in merito al contenzioso del gruppo FCA il 6 febbraio 2020 l’agenzia delle Entrate ha risolto la determinazione delle tasse da applicare alle plusvalenze di Fca all’uscita dai patri confini. FCA ha quindi “riconosciuto un credito di 730 milioni all’amministrazione fiscale italiana”, dopo un’iniziale sottostima di 5,1 miliardi della base imponibile, “determinato dal maggior valore dei beni aziendali” in occasione “della chiusura effettiva della sede fiscale italiana”.
Per quanto riguarda il secondo fattore, si parla di un problema riguardante la presenza di una subsidiary (società o entità giuridica partecipata) o di una succursale (stabile organizzazione, in inglese branch). Strutture che, dal punto di vista societario, risultano molto diverse. In breve, nel caso di una subsidiary si richiedono “formalità costitutive e organizzative”, mentre nel caso di una succursale non si può parlare di “impresa autonoma dal punto di vista giuridico”.
Inoltre, da un punto di vista fiscale, la prima “è soggetta a imposta sui redditi ovunque prodotti (worldwide taxation)”, mentre la seconda “resta legata al principio di tassazione sui soli redditi localmente prodotti (source taxation)”. Oltre a ciò, nel secondo caso l’assenza di un veicolo societario autonomo “comporta la possibilità di rimpatriare i profitti conseguiti nello svolgimento di attività di impresa in Italia senza l’applicazione di qualsivoglia ritenuta alla fonte”, cosa è risulta invece applicabile “astrattamente” nel caso della società controllata.
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