Decine di operatori sanitari hanno messo in scena una protesta in piazza Castello. Infermieri incatenati e che chiedevano rispetto, dopo il grande lavoro profuso nei mesi scorsi.
Sono stati gli eroi silenziosi nella lotta contro il Coronavirus. Ma con l’arrivo della Fase 2 e il ritorno, graduale e lento, a una vita più vicina alla normalità, di loro si sono dimenticati praticamente tutti. Stiamo parlando degli infermieri. E proprio una parte di loro hanno deciso di far notare la loro presenza, una volta tanto non tra le corsie degli ospedali. Hanno inscenato una protesta piuttosto fragorosa in piazza Castello a Torino, dove decine di operatori sanitari hanno deciso di incatenarsi e di occupare pacificamente la pavimentazione della piazza del capoluogo piemontese.
Una protesta per denunciare le condizioni di lavoro in cui sono stati costretti a operare nei giorni più duri della pandemia. A organizzare la protesta degli infermieri è stato il sindacato Nursind. Il segretario regionale Francesco Coppolella ne spiega le motivazioni: “Siamo qui per protestare contro il governo e contro la Regione. Abbiamo lavorato con mezzi inadeguati: i sacchi dell’immondizia li abbiamo indossati davvero. Le catene che abbiamo portato qui simboleggiano il fatto che non ci hanno lasciato scelta. Hanno abolito la quarantena preventiva per chi di noi è venuto a contatto con i pazienti positivi. Infine, le promesse di aumenti di stipendi e indennità sono state dimenticate”.
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Coppolella ha anche fatto capire quali sono le richieste che vengono fatte al Governo e alla regione Piemonte. Richieste che, a giudicare dalle parole del segretario regionale Nursind, appaiono comunque legittime, visto il grande lavoro fatto in questi mesi. “Alla Regione e al governo chiediamo prima di tutto di poter lavorare in sicurezza e poi un segnale di rispetto, che per noi significa aumento di indennità e di paga”. Nel frattempo, però, gli infermieri che si sono incatenati in piazza Castello hanno denunciato anche altre carenze, se non altro sul piano della riconoscenza per il lavoro svolto.
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“A noi è toccato disinfettare i morti, a volte fare i sacerdoti – dice uno di loro – . Siamo stati lontani dalle nostre famiglie, molti di noi sono stati abbandonati, ma nonostante tutto abbiamo continuato a lavorare, in prima linea tirando l’Italia fuori da questo pantano”. Dunque gli infermieri alzano la voce, rivendicano i loro diritti e fanno capire di non sentirsi gratificati dagli altri, pur avendo provato sollievo nel contributo offerto. L’emergenza Coronavirus è stata tale anche per loro. Qualcuno, però, sembra essersene già dimenticato.
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