La denuncia è partita dal Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria: i tablet messi a disposizione dei detenuti del carcere minorile di Airola sono stati usati per chat porno e per inviare materiale a trasmissioni televisive.
Secondo l’ultima disposizione dal Ministero della Giustizia, messa in atto per ovviare alla sospensione dei colloqui a seguito delle strette misure anti Covid-19 nelle carceri, le strutture penitenziarie sono state fornite di computer e tablet da far usare ai detenuti in caso di necessità.
Quanto denunciato dal sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, però, porta all’attenzione un uso totalmente diverso e improprio di tali dispositivi. Secondo quanto si apprende dal sito ufficiale, i detenuti del carcere minorile di Airola (Benevento) avrebbero infatti usato i tablet per intrattenere chat a sfondo pornografico e, addirittura, per inviare le proprie foto ad alcuni canali televisivi locali.
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La denuncia del Sappe: un fatto grave e assurdo
La Polizia Penitenziaria ha scoperto l’uso fraudolento da parte di alcuni detenuti dei dispositivi messi loro a disposizione dal Ministero della Giustizia, per consentire i colloqui on line con i familiari. E questo “è successo perché, ed è veramente grave ed assurdo, gli apparati tecnologici forniti alla Direzione per effettuare questi colloqui non erano stati bloccati proprio ad usi illeciti, come questo”. “La situazione nel carcere minorile di Airola ormai è fuori controllo: e questo anche a causa della mancanza di un direttore in pianta stabile”.
Questa la denuncia del Sappe firmata da Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria. Lo stesso che, nella nota, si preoccupa comunque di lodare il personale di Polizia Penitenziaria in servizio sia nell’incriminata struttura di Airola, che nelle carceri italiane destinate ad ospiti adulti e ai minori. “Quotidianamente, solo grazie a esperienza e professionalità – spiega infatti Donato Capece – la Polizia Penitenziaria riesce a prevenire e a reprimere reati d’ogni genere, che si verificano all’intero degli istituti”.
“Nonostante nella maggior parte degli istituti penitenziari si stiano adottando misure di sicurezza basate sulla dinamicità e sulla videosorveglianza, che a nulla servono se non si prevede l’obbligo del lavoro per i detenuti, non ci sono telecamere e altri sistemi di sicurezza che possano intervenire e sostituire la professionalità della Polizia Penitenziaria“, spiega ancora Capece.
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Ad ogni modo, evidenza infine il segretario, “quel che è accaduto ad Airola dimostra che la tensione che caratterizza le carceri, al di là di ogni buona intenzione, è costante. Le carceri sono più sicure assumendo gli Agenti di Polizia Penitenziaria che mancano, finanziando gli interventi per potenziare i livelli di sicurezza delle carceri, come ad esempio i body scanner che potrebbero comunque aiutare molto in termini di prevenzione e contrasto circa l’introduzione di materiale illecito e non consentito nelle carceri”.