La camorra ha già trovato il modo di aumentare il giro di affari, in questi tempi così difficili provocati dall’emergenza coronavirus: il clan Vinella-Grassi, guidato da Antonio Mennetta, ha quindi scelto di investire nelle imprese di sanificazione.
L’inchiesta è stata portata a termine dal Gico della Guardia di Finanza di Napoli, che ha scoperto un altro lato imprenditoriale del clan camorristico Vanella-Grassi. Il boss Antonio Mennetta, detenuto al 41bis, aveva iniziato ad espandere gli affari dedicandosi al ramo collegato all’emergenza sanitaria, impartendo ordini e indicazioni proprio dalla struttura penitenziaria.
Tramite l’aiuto del cognato, allora, Mennetta si preoccupava di gestire il riciclaggio del denaro ottenuto con le attività di spaccio e di estorsione, investendo in una società di vigilanza e in alcune ditte di pulizia – settori che si scoprono essere molto contesi tra le organizzazioni criminali della zona.
Giunge oggi la notizia della conclusione delle indagini a carico degli illeciti del clan Vanella-Grassi, che affonda i suoi traffici e la sua origine nella zona Nord di Napoli. A seguito di quanto emerso, il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Napoli nei confronti delle 7 persone considerate il perno delle attività di gestite dal clan. Si parla di ipotesi di reato che vanno dall’associazione di stampo mafioso, all’estorsione, all’illecita concorrenza, all’intestazione fittizia di beni, al riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti.
Oltre a questo provvedimento, stati sottoposti a sequestro preventivo anche dei beni per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro. Tra questi, si contano 11 società, diversi immobili, automezzi e un’imbarcazione. Tali beni pare siano stati tutti, più o meno direttamente, sfruttati per potare a compimento le attività delittuose gestite dall’organizzazione Vanella-Grassi.
Secondo quanto si apprende, inoltre, a gestire tali attività era proprio Antonio Mennetta, capo del clan finito in carcera al regime detentivo del 41 bis. Le indicazioni che il boss forniva ai suoi uomini passavano però attraverso la figura di Alberto Sperindio, cognato dello stesso Mennetta e imprenditore di un certo spessore negli ambienti camorristici. Si tratta, del resto, dello stesso Sperindio che già una volta era stato arrestato (si parla del 2010) per aver portato al boss diversi oggetti in carcere.
Proprio insieme a suo cognato, allora, Mennetta era riuscito ad infiltrarsi anche in alcune ditte di pulizia che, a seguito dell’emergenza Covid-19, si dedicavano sopratutto alla sanificazione dei locali. Un settore molto redditizio, questo, al pari delle piazze di spaccio, perché se da un lato consentiva al clan di guadagnare ulteriore denaro, dall’altro gli permetteva pure di gestire l’attività più importante: il riciclaggio di denaro sporco.
Una macchina da soldi molto promettente, questa, ma al tempo stesso per niente considerata dal boss fino a qualche mese fa. Le stesse società che aveva infatti acquisito di recente erano in realtà attive già da diversi anni, tuttavia non erano mai state collegate finora agli illeciti del clan. I traffici della camorra sono stati quindi rivisti e riadattati nel breve tempo dal carcere, in modo da poter sfruttare con profitto la situazione proiettandosi anche in quei settori d’impresa collegati all’emergenza sanitaria da Covid-19
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