La testimonianza arriva dal’operatrice sanitaria di una Rsa in cui sono morti tanti anziani. “In troppi hanno sottovalutato il problema e la strage di un’intera generazione”.
La situazione nelle Rsa in tutta Italia, durante l’emergenza Coronavirus, è stata forse l’emblema di un modo non lineare e corretto di affrontare tutti i problemi del caso. Sono morte diverse centinaia di anziani, con alcuni casi che venuti a galla come quello del Pio Trivulzio in Lombardia. Ma anche la Toscana ha dovuto affrontare un vero e proprio caos nelle Rsa. Così, attraverso l’edizione online de Il Giornale viene fuori la testimonianza di una operatrice sanitaria. La donna ha rivelato il modo in cui è stata affrontata l’emergenza Coronavirus all’interno di una struttura, soprattutto nei primi tempi.
“Ci davano mascherine che non avevano niente a che fare con la sicurezza. Erano fazzoletti praticamente”, questo l’esordio dell’operatrice sanitaria, rimasta anonima ma comunque portatrice di un messaggio clamoroso. La donna ha assistito a una vera e propria ecatombe di anziani rimasti uccisi dopo aver contratto il Coronavirus. E ora punta il dito contro gli amministratori delle Rsa: “Quando abbiamo iniziato a chiedere i dispositivi di protezione individuale – dichiara – la direzione quasi ci urlava dietro, come se fossimo dei matti e pretendessimo cose assurde”.
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Di fatto, come emerge in questo racconto, i direttori delle Rsa hanno sottovalutato il problema. Così è stato dato il via a una vera e propria strage di un’intera generazione. L’operatrice sanitaria ammette che “il via vai di parenti è continuato fino a tutta la prima settimana di marzo” nella struttura in cui lavorava. Dunque, in pieno lockdown non c’erano ancora le restrizioni necessarie, con il rischio di contagio sempre altissimo. Troppo poche precauzioni, troppa incoscienza. E poi l’episodio dell’ingresso di una nuova paziente nel giorno della chiusura totale: “Abbiamo subito chiesto lo screening sia per i pazienti che per il personale, gli anziani si iniziavano ad ammalare uno dopo l’altro, crollavano come birilli”.
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La OSS intervistata da Il Giornale ha ammesso anche di essere stata costretta a fare la quarantena a casa, in quanto si era ammalata. “I pazienti che stavano male iniziavano ad essere sempre di più – dichiara – , ma prima di arrivare ad effettuare i primi tamponi a tutti gli operatori si è dovuto aspettare fino al 30 di aprile. Io già da due settimane ero a casa, in quarantena, dopo essermi sentita male e aver effettuato il tampone prescritto dal medico di famiglia”. E alla fine dei conti, nella Rsa in cui lavora l’operatrice intervistata si sono contati oltre 60 casi di contagio, con 15 decessi.
E secondo lei, la causa di questa ecatombe, in Toscana come nel resto d’Italia, è duplice. “È mancata professionalità, ma sopratutto lato umano, questo è quello che mi sento di dire”.