Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini espone le sue proposte di riforma per l’Italia in un’intervista alla Repubblica. Per affacciarsi su “una nuova Italia” è necessario ripensare: stato sociale, ambiente, tecnologie, imprese e lavoro, e investimenti pubblici.
In un’intervista alla Repubblica il segretario generale della Cgil Maurizio Landini si è espresso su quali dovrebbero essere, secondo lui, i nuovi punti focali su cui far ruotare la ripartenza dell’Italia. Una ripartenza che, anche secondo le aspirazioni della maggioranza, non può fermarsi a un tentativo di contenimento dei danni provocati dall’emergenza coronavirus, ma deve essere motivo di rinnovamento di diversi nodi cruciali mai sciolti in Italia. Già all’interno del Governo vengono delineate le due nuove linee guida, finita la fase di emergenza acuta: sbruocratizzazione e creazione di un nuovo piano industriale per l’Italia. E sembra che anche Landini sia d’accordo con l’idea di riprogettare l’Italia: “È una situazione pesante, seria, pericolosa. Per questo dobbiamo usare i prossimi mesi per riprogettare il Paese e l’Europa, indicare le priorità, scrivere una nuova prospettiva di sviluppo senza dimenticare il Mezzogiorno. L’ultimo decreto del governo cerca di proteggere le persone che lavorano e le imprese. Ma non è sufficiente proteggersi, dobbiamo guardare oltre. E lo dobbiamo fare ora”. Secondo Landini, “il Paese pre-Covid non era affatto il mondo dei sogni”. E’ allora necessario osservare le fragilità interne al sistema Paese rese manifeste in maniera chiara dall’emergenza. “L’emergenza sanitaria si è intrecciata con l’emergenza sociale e ambientale”.
E Landini va oltre: non si tratterebbe di fragilità interne solo all’Italia, ma legate a una logica neoliberista comune a tutto l’Occidente. “È a tutti evidente che la logica neoliberista che ha governato il mondo negli ultimi decenni, con meno Stato sociale, meno diritti e più mercato, non ha più – se mai ne avesse – risposte da dare”. In sostanza, per Landini, non era necessario aspettare il virus per comprendere quanto fosse negativo un modello lavorativo fondato sulla precarietà, assenza di tutele, lavoro nero e precariato. Ora è necessario “ripensare e riscrivere un nuovo modello sociale e un altro modello di sviluppo”.
Ma da dove si comincia? Landini risponde: dalla Costituzione, dai principi fondamentali. Quelli suggerirebbero un nuovo investimento sul lavoro pubblico, servizio sanitario e socio-sanitario. Poi l’istruzione, il diritto alla formazione permanente, per garantire un accesso a tutti a una scuola rinnovata tramite l’uso delle tecnologie digitali. Tecnologie digitali che diventerebbero, se l’Italia riuscisse a stare al passo, fonte di nuovi lavori. Anche perché, dice Landini, la gestione dei dati non può restare in mano a poche multinazionali. A quel punto, Landini specifica: è necessario differenziare le aziende private e non trattarle tutte allo stesso modo. “Usciamo dai luoghi comuni. Io credo che lo Stato possa essere regolatore e insieme imprenditore. Anche qui lo dice la Costituzione all’articolo 41. Non demonizzo il mercato e il profitto, ma penso che le imprese debbano essere virtuose e al servizio della comunità. Bisogna sostenere quelle che si muovono in questa direzione e smetterla con gli aiuti a pioggia”. Il riferimento all’Irap per tutte le imprese è evidente. Secondo il segretario lo sconto Irap verrebbe applicato in maniera indiscriminata sia alle aziende in crisi sia a quelle che hanno raddoppiato il fatturato grazie all’emergenza coronavirus, e questo sarebbe ingiusto.
E’ evidente, dice Landini, che il sostegno a pioggia a tutte le imprese faccia parte di un modello vecchio. “E’ necessario alzare lo sguardo, smetterla di guardare a tempi brevi. Bisogna pensare a quel che vogliamo che sia l’Italia dei prossimi vent’anni, vanno cambiati anche i rapporti tra imprese e lavoro”. Poi Landini specifica la direzione di questo cambiamento: “Una nuova contrattazione collettiva è lo strumento per disegnare un modello nel quale imprese e lavoratori abbiano pari dignità. Dobbiamo immaginare un modello nel quale chi lavora possa partecipare e dire la sua sulle decisioni che lo riguardano e definiscono le future strategie. Non dobbiamo tornare indietro”.
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