In una recente intervista, il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano ha parlato dei motivi legati alla continua scarcerazione dei detenuti e dei boss mafiosi, resasi necessaria per via dell’emergenza coronavirus.
A seguito della pericolosità legata alla crisi sanitaria provocata dalla pandemia di coronavirus, fin dall’inizio dello stato d’emergenza nel nostro Paese sono stati scarcerati oltre 1000 detenuti, con quasi 400 al 41 bis, solo nel distretto di Milano. Non sono mancate, ovviamente, paure e incertezze dovute a un simile provvedimento, per molti ormai assimilato a quello che era il tanto aspettato “decreto svuota-carceri“. E le proteste (o quanto meno richieste di accertamento) in merito a un simile meccanismo sono arrivate anche dalla politica stessa, come nel caso delle recenti dichiarazioni portate avanti a spada tratta da Giusi Bartolozzi.
Un recente approfondimento di Fanpage.it, tuttavia, ha dato la possibilità di far sentire le propria voce anche al presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Giovanna Di Rosa. Ex membro del Csm, mentre prendeva forma la rivolta di San Vittore Di Rosa si trovava proprio in carcere per discutere delle nuove disposizioni, e ha raccontato ai giornalisti una realtà che, soprattutto dal filtro dei media, spesso non arriva al giudizio degli italiani – a coloro che la vita la passano nel comfort delle loro case, e non all’interno di una cella.
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Coronavirus e scarcerazioni dei detenuti: “Abbiamo solo seguito la legge”
La crisi provocata dall’emergenza coronavirus ha sollevato infine quel tappeto vecchio, lasciando scoperti gli enormi accumuli di polvere che il sistema penitenziario italiano vi ha sempre nascosto sotto. Si parla dei tanto protestati problemi di sovraffollamento, che ai tempi del Covid-19 si traducono anche nell’impossibilità di mantenere le adeguate misure di distanziamento sociale; si parla di problemi nella gestione dei detenuti con problemi di salute importanti, che in piena emergenza Covid-19 rischierebbero di soccombere a un eventuale focolaio scoppiato nella struttura; e si parla anche della scarcerazione dei boss al 41 bis, a cui non si vorrebbe dare il diritto di risocializzazione.
Ma come spiega ai giornalisti Giovanna Di Rosa, “la verità è che non si può stabilire per nessuno che si debba espiare tutta la pena in carcere fino alla morte. Questo è il succo giuridico del discorso”. E come sottolinea la presidente, tale discorso si applica a tutti, anche ai boss mafiosi a cui è stato applicato il regime di carcere duro: “Al 41 bis ci sono tutte persone estremamente anziane e molte con problemi di salute gravi che non sempre possono essere gestiti in carcere”.
“Teorizzare che non si possa mai intervenire in queste situazioni vuol dire rivalutare la legge esistente. Il 41 bis è una scelta legislativa nella cornice costituzionale e, con questa Costituzione vigente, è previsto che lo Stato tuteli il diritto alla salute di queste persone. Ma è sempre stato così, ben prima del Covid”, spiega ancora di Rosa. E incalza:”La questione dei 41 bis è molto complessa ma bisogna uscire da questa macedonia disinformativa e capire che è stata solo applicata la legge. Niente di più”.
Dopo il gravoso incendio – forse causato da un cortocircuito – che la mattina del 28 marzo ha distrutto il settimo piano del tribunale milanese, coinvolgendo anche l’ufficio del Tribunale di Sorveglianza, Di Rosa e i suoi collaboratori hanno continuato a lavorare in una postazione temporanea, in un’aula usata per i processi e nella quale campeggia la scritta “la legge è uguale per tutti“.
“Ma le storie non sono uguali per tutti“, spiega infine il magistrato. “Ci sono storie di persone che sono arrivate in condizioni di marginalità sociale da cui è derivata la marginalità che ha portato al crimine. Bisogna dare interpretazione a quell’essere ‘uguale per tutti’, per tutti coloro che sono nelle stesse condizioni. Che non è un tutti assoluto. Ecco la legge sarebbe uguale per tutti”.