Secondo Ingroia, esattamente come Borsellino nel lontano ’88 Di Matteo non ha potuto denunciare perché rimasto senza scelta.
Continua la polemica sullo spinoso affaire Di Matteo, stavolta ad intervenire è Ingroia, ex Procuratore Generale di Palermo che senza mezzi termini ha detto ad AdnKronos: “Tutti chiedono perché Di Matteo non abbia denunciato prima quanto accaduto nel giugno 2018 con il ministro della Giustizia Bonafede, ma non lo aveva mai convocato nessuno e non aveva altro modo, essendo stata presentata la vicenda in modo distorto. Esattamente come accadde nel 1988 con Paolo Borsellino. Purtroppo dal sacrificio di Borsellino e Falcone non è cambiato niente…” Ingroia ha raccontato che nell’estate del 1988 Paolo Borsellino procuratore a Marsala sa che Falcone è prigioniero del modo burocratico in cui si fa lotta alla mafia a Palermo da quando Antonino Meli è stato preferito allo stesso Falcone come capo dell’ufficio istruzione e quindi del pool antimafia. Incontra due giornalisti e denuncia il calo di tensione nella lotta alla mafia da parte dello Stato. Scoppia un putiferio. Ma è Borsellino che viene accusato per avere fatto la denuncia in una sede non istituzionale, e rischia il procedimento disciplinare, mentre Meli rimane al suo posto e tutto finisce in una bolla di sapone. La similitudine è davvero incredibile.
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Secondo Ingroia il dato in comune è come si cerchi di togliere l’attenzione dal vero problema: la questione non è perché Di Matteo ne abbia parlato in una trasmissione televisiva ma perché tutto questo sia accaduto, perché cioè ci sia stato un calo nella lotta alla mafia con la scarcerazione di quasi 400 mafiosi a causa di una circolare uscita dal Dipartimento ministeriale dove è stato scelto qualcuno meno titolato di Di Matteo, secondo Ingroia. Difficile dargli torto.